sabato 6 luglio 2013

Conflitti esterni, interni e inversi

Un conflitto diretto, quello in cui un evento drammatico e inaspettato ci coglie impreparati e di sorpresa. Può essere di origine "interna" o "esterna".

Se ad esempio incontro per strada un vecchio amico e, a causa del mio nervosismo, lo mando a quel paese vivo una situazione conflittuale di cui sono io il responsabile e l'artefice. Ma rientrando a casa realizzo di essermi comportato male e telefono per scusarmi risolvendo così lo stress. Il mio cervello invierà la soluzione entro qualche giorno come avviene per tutti i conflitti interni, così denominati perché io e non un altro li ho provocati.

Se al contrario è il mio amico che mi insulta offendendomi, è lui che mi mette in stress. In questo caso si tratta di un conflitto esterno e il mio cervello ha sei mesi di tempo per sistemare le cose e inviare la soluzione. Viviamo con un orologio biologico di sei mesi: è il tempo che ci diamo per risolvere un conflitto scatenato dal comportamento altrui. Se viene risolto apparirà una sindrome di affaticamento, in caso contrario si avrà una patologia.

La "sindrome di affaticamento"' è la fase di soluzione di piccoli conflitti di separazione e paura che il cervello ripara in automatico senza bisogno di una presa di coscienza. Ad esempio: apprendo la morte di mia zia e vivo uno stress per il tempo del funerale ma poi riprendo la mia vita di tutti i giorni. Improvvisamente mi sento stanco, con qualche linea di febbre ma tutto passa nel giro di due o tre giorni. Il cervello ha riparato in automatico senza bisogno di un collegamento cosciente tra l'evento conflittuale e la piccola patologia risolutiva.

Giorgio stava aspettando il figlio di un suo amico a cui avevano appena diagnosticato una leucemia linfoide cronica.

Luca, vent'anni, era il classico ragazzo che tutti i genitori avrebbero voluto come figlio. Bello, intelligente e pieno di vita, quella vita che ora la malattia gli stava portando via.

Giorgio cominciò a fargli domande non trascurando alcun dettaglio.
"Cosa è successo sei mesi prima del manifestarsi dei tuoi sintomi"? "Quale è stato il più grosso stress che hai mai vissuto"? "Ti è accaduto qualche evento positivo o negativo di recente"?
Era su un binario morto, non trovava niente che corrispondesse allo schema classico della leucemia secondo la visione Hameriana, cioè una grande svalutazione di sé in fase attiva e la malattia in fase di risoluzione o una problematica di "clan" poiché simbolicamente il sangue lo rappresenta".
Smise di porre domande e, come spesso faceva, chiuse gli occhi per un istante e si rivolse alla Vita: "Dammi una mano per aiutare questo giovane, io non so da che parte andare", poi aspettò.
Quando riaprì gli occhi gli uscì di bocca una domanda che non si sarebbe mai sognato di rivolgergli:
"Qual è la tua passione, il tuo hobby"?
Anche Luca rimase spiazzato e dopo un attimo rispose: "Adoro scalare la montagna".
"E non ti è mai capitato qualche incidente?"
"Si, avevo quindici anni e, con un amico, ci siamo inerpicati su per una cima vicino a casa. Lui era il primo di cordata e io lo seguivo. Arrivati in vetta il panorama era bellissimo, abbiamo mangiato un panino e poi gli ho chiesto di "assicurarmi" per cominciare la discesa. Così ha fatto ma dopo pochi metri mi sono sentito precipitare nel vuoto. Che paura!! Per fortuna la corda si è tesa e sono atterrato incolume su un terrazzino qualche metro più in basso. Tutto qui, non mi sono fatto niente ma ho avuto una gran fifa".
Giorgio ricominciava a vedere la luce anche se, per il momento, non aveva ancora la soluzione. Si impediva di pensare e le domande gli venivano da sole:
"E dimmi, quando hai fatto l'ultima scalata"?
"Con mio padre un mese fa, proprio una decina di giorni prima che scoprissero la mia malattia. Tutto andò bene, fu una bellissima gita ma ricordo di aver provato un brivido alla schiena quando papà, prima di cominciare la salita, mi disse di assicurarlo e fare io il primo di cordata".

Giorgio balzò sulla sedia e Luca pure, sorpreso da quella reazione. In un lampo la sua mente aveva fatto due più due.

"È un conflitto inverso Luca, capisci? È un conflitto inverso!!"

Per la verità Luca non capiva ma fece sì con un timido cenno del capo per non contrariare quello strano amico di famiglia.

"I globuli bianchi servono alle nostre difese, a renderci più forti e quando tuo padre ti ha chiesto di fare il primo di cordata, il tuo cervello ha ricordato ciò che era successo col tuo amico e ha mandato, a tua insaputa, la soluzione: "devi essere forte, talmente forte affinché non accada a tuo padre quello che è successo a te cinque anni fa". All'istante i tuoi globuli bianchi hanno cominciato a moltiplicarsi.
È un conflitto inverso, capisci ora?

È la circostanza che è stata scatenante, la stessa che hai vissuto allora e che il tuo cervello ha riconosciuto. In questo caso la patologia è una fase attiva e non una risoluzione! Prendine coscienza e digli che hai capito il suo meccanismo; ora può rimettere tutto in ordine".

Conflitti inversi.

Qui la patologia non è più determinata da un conflitto scatenan­te, un DHS, come nei conflitti diretti, bensì da una "circostanza scatenante" che richiama alla memoria un precedente stress pro­grammante. L'avvenimento negativo rivissuto riaccende la memo­ria dello stress passato e scatena la reazione del cervello che mette in moto, a nostra insaputa, la soluzione di difesa.

I conflitti inversi li ritroviamo soprattutto nelle proliferazioni di tessuto mesenchimatico''.

Ecco alcuni esempi di conflitti inversi.
- La pecora che ha smarrito il gregge sì può trovare confrontata ad un conflitto di direzione perché non sa più da che parte dirigersi per ritrovarlo. Il suo cervello in fase attiva blocca le corticosurrenali (conflitto attivo) e quando essa sente belare il gregge in lon­tananza il cervello ordina una scarica di cortisolo (fase di risolu­zione del conflitto) affinché possa correre a tutta velocità a ritro­vare la sicurezza: questo è un conflitto diretto. Ma di tutt'altro tenore è il conflitto che la pecora può vivere se sa esattamente dove si trova il gregge ma qualcosa o qualcuno le impedisce di raggiun­gerlo. L'aumento del cortisolo si trova allora in fase attiva affinché la pecora mobiliti tutte le sue forze per ritrovare la protezione della sua famiglia di appartenenza: questo è un conflitto inverso.

Una bambina cagionevole di salute è obbligata dalla madre a restare a casa da scuola ed è seguita da un'insegnante in pensione con delle lezioni private. La bimba vive male la situazione: si sente isolata e vorrebbe andare a scuola (conflitto programmante) ma non può. Qualche anno più tardi si è rinforzata e ritorna in clas­se con le sue compagne (circostanza scatenante) ma subito dopo si manifesta una malattia di Cushing, una ipertrofia delle surrenali": per non vivere mai più l'isolamento, bisogna che mi metta a fab­bricare tutto il cortisolo che posso affinché il "gregge delle mie compagne non mi scappi mai più"!

Un motociclista investe un cinghiale e, picchiando il ginocchio contro l'animale, si rompe la rotula (conflitto programmante). Dopo una settimana di ricovero in ospedale torna a casa. Appena terminata la rieducazione riprende la sua moto e slitta sull'asfalto bagnato rischiando di colpire con la gamba il guard-rail (circo­stanza scatenante). Ma tutto finisce bene, riprende il controllo del suo mezzo e rientra a casa. La conseguenza è un sarcoma alla rotula il cui significato è: "bisogna che il mio ginocchio sia talmente forte da resistere all'impatto così da non ritrovarmi più all'ospedale". Il cervello ordina quindi di aumentare l'osso per rinforzarlo.
Anche il sarcoma dunque non è sempre la fase di risoluzione di conflitto di svalutazione (conflitto diretto), ma può essere la fase atti­va di un conflitto inverso, il che è più frequente di quanto si pensi.

Giorgio era contento; le cose cominciavano a quadrare anche con le diagnosi mediche e per lui era essenziale.

Da una parte era soddi­sfatto per aver classificato i vari conflitti in cui l'essere umano si può imbattere nel corso della vita poiché gli sembrava di aver tro­vato delle chiavi di lettura interessanti che aprivano molte porte ma qualcosa gli diceva che il portone di casa rimaneva chiuso e che doveva cercare ancora, forse non con la mente ma col cuore.



Una Chiave per Guarire
Una Chiave per Guarire


Giorgio Mambretti



4 commenti:

  1. Me l'aggio accattato.
    Quando l'ho letto vi dico!

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  2. Ti ringrazio davvero un bel testo molto approfondito.

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  3. Ho avuto modo di leggere il secondo libro di Giorgio Mambretti “Una Chiave per Guarire” edito da UNO Editori e devo dire che mi è piaciuto quasi del tutto.
    Mi è piaciuto il fatto che l’opera si racchiuda entro le 150 pagine, il che favorisce una memorizzazione quasi completa e stabile di tutta l’opera.
    Mi è piaciuto il piglio narrativo-fiabesco con cui l’autore guida il lettore verso la comprensione dei concetti illustrati nel libro.
    Mi è piaciuta la chiarezza espositiva per cui l’autore, nello spiegare i concetti della Nuova Medicina Germanica, non si è abbandonato a frasari complessi o pomposi, o francamente astrusi. Quello che Mambretti voleva dire l’ha detto in modo che lo possa capire anche un bimbo delle elementari.
    Mi è piaciuto il carattere morale, psicologico e amorevole con cui l’autore espone i risvolti causali dei disturbi raccontati. L’autore si tiene ben lontano da quell’ambiente freddo, impersonale e inumano tipico della medicina moderna.
    Mi è piaciuta la narrazione di contorno e l’ambientazione nelle quali si dipana la storia principale. Luoghi casalinghi, immersi in un mondo al limite dell’idilliaco, nei quali i rapporti tra persone sono …. ideali e non il reale scontro tipico delle nostre metropoli insensate.
    Mi è piaciuto il “Nulla è per caso!”. È la cosa che mi ha più intrigato e stimolato di più e l’autore riprende tale concetto svariate volte nel corso della lettura.

    Però, come ho detto, mi è piaciuto quasi tutto, per cui c’è qualcosa che non mi è risultato gradevole.
    Mi è parso che ai concetti della NMG si sia abbinata una bella fetta di Metamedicina, soprattutto nelle chiavi interpretative dei disturbi. Nulla di male, s’intende, ma l’ho vista come una commistione impropria.
    Si sono mescolati anche i concetti legati ai cosiddetti “conflitti transgenerazionali” che io personalmente faccio fatica ad accettare – anche se sono disposto ad ammettere che ciò che siamo è senz’altro influenzato da ciò che siamo stati.
    Non mi è piaciuta l’aura di magia che talora traspare nel racconto. Ho avuto l’impressione – unicamente mia – che i casi illustrati fossero risolti in modo molto “easy”, facile. Però devo dire che le idee e i concetti, il metodo ed il modus operandi sono bene descritti e illustrati.
    Qualche volta ho avuto l’impressione che l’interpretazione dei conflitti programmanti fosse leggermente stiracchiata, ma forse è la mia rigida mente che mi ha suggerito ciò. In fondo, come scritto dall’autore, la mente “mente”.

    Nel complesso è un testo piacevole, carezzevole, positivo, di belle speranze. In fondo la vita è un susseguirsi di speranze, interrotte solo da quelle condizioni in cui la persona si sente senza speranza, la malattia.
    È un libro da consigliare caldamente come primo ingresso nel nuovo, biologico e naturale mondo della NMG.
    Grazie quindi all’autore ed alla casa editrice che ci hanno offerto, al prezzo di soli 10.00 euro, questo contributo scritto.
    Il testo è disponibile presso Il Giardino dei Libri.
    Buona lettura a tutti

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Non si accettano offese parolacce o bestemmie. Rispetto e civiltà sono ben accetti. Gli autori non vogliono sostituirsi alla figura medica e non si accettano richieste di cura. Non è possibile in questa sede rispondere a domande riguardo malattie personali ma, solo in linea generale, a scopo informativo e divulgativo.