mercoledì 31 luglio 2013

Carlos Castaneda e la Sottomissione alla Socializzazione

La Percezione del Mondo è la fissazione del Punto d'Assemblaggio

Alla nascita l’essere umano sperimenta percezioni totali ed è immerso in un senso oceanico di Unità. Il Punto d’assemblaggio ondeggia su e giù. Successivamente interviene una potente forza esterna che via via fissa il Punto d’unione in una posizione precisa. Questa forza è la visione del mondo che genitori ed educatori trasmettono al bimbo attraverso il processo della socializzazione.

«Fin da quando nasciamo gli altri ci dicono che il mondo è in un determinato modo, e naturalmente noi non abbiamo altra scelta che accettare che il mondo sia come gli altri ci hanno detto che è.» Don Juan Matus (1)

Il bambino apprende come deve percepire il mondo per essere pienamente integrato. Come conseguenza di questo processo il Punto d’assemblaggio viene poco a poco fissato in una posizione, nella quale il bambino poi condivide questa realtà ed i suoi precetti e quindi impara ad interagire con essi in maniera sensata e coerente. Passo dopo passo, gli viene resa familiare una descrizione dei mondo, che egli impara a percepire, mantenere e difendere come “la vera realtà”. In altre parole, il bambino impara a mantenere fissa la posizione del Punto d’assemblaggio. Quest’ultimo, che gli sciamani Toltechi vedono nell’emanazione dei corpi energetici di ogni essere umano, si fissa così tra le scapole a circa un metro di distanza dal corpo fisico. Il guscio luminoso che circonda ogni essere umano rimane sempre in contatto con la totalità dell’Energia Universale, ma l’uomo non ne è cosciente. Il Punto d’assemblaggio si configura dunque come una sorta di binocolo che si può fissare solo su un piccolo obiettivo per permetterne una visione. Ma quel piccolo obiettivo è per ogni essere umano la propria visione del mondo!

L’intero mondo che si percepisce non è che la fissazione del Punto d’unione in una delle infinite posizioni possibili!

Spostando il Punto d’assemblaggio verso altre parti del proprio guscio luminoso si possono percepire altri mondi.
«Ma la forza della fissazione nella sua posizione consueta è talmente grande, il senso di realtà che ne risulta talmente avvincente, che non resta più alcuna via di fuga. Tutta l’energia a nostra disposizione viene quindi impiegata per il mantenimento del mondo che conosciamo, così che non ne resta più a sufficienza per riuscire a vedere oltre il bordo del piatto della nostra realtà, per non parlare poi del riuscire a lasciarla. Le piante di potere diedero agli stregoni dell’antichità l’energia necessaria per uno spostamento del Punto d’assemblaggio, tuttavia questo movimento era incontrollato e violento e le sue conseguenze energetiche e fisiche catastrofiche. Così essi cominciarono a servirsi del vedere per trovare delle alternative. Videro quindi che il Punto d’assemblaggio si muoveva anche in presenza di condizioni estreme come la fame, la febbre, la malattia, la debolezza senile e così via. Anche l’assenza di sonno, il digiuno, privazioni sensoriali e la meditazione profonda risultavano utili allo scopo, ma gli spostamenti così ottenuti risultavano ancora molto instabili, ed il prezzo da pagare era alto.

La scoperta decisiva la fecero quando diressero il loro vedere sul fenomeno del sonno: al momento di addormentarsi, il Punto d’assemblaggio cominciava a vibrare e poi si muoveva all’interno dell’uovo luminoso. Più lontano esso si spostava, più bizzarri e strani erano i sogni che le persone esaminate poi raccontavano.» (2)

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

(1) Carlos Castaneda, Una Realtà Separata

(2) Norbert Classen, Carlos Castaneda e i Guerrieri di don Juan

Fonte: www.carloscastaneda.it

martedì 30 luglio 2013

L'approccio terapeutico

Se è vero che la pratica della diagnosi compete alla medicina cosiddetta ufficiale, sarebbe tuttavia auspicabile che ogni paziente fosse libero di scegliere il proprio indirizzo terapeutico a seconda della sua inclinazione.

Nessuno ha la verità assoluta ma solo una visione parziale del tutto e poiché ciascun individuo ha la sua storia e si trova in un determinato momento evolutivo così egli "vibra" inconscia-mente su una determinata frequenza che lo spinge verso il metodo di cura che con quella frequenza è in armonia. E pur vero che i tempi non sembrano maturi per una proficua collaborazione inter-disciplinare a tutto vantaggio dei pazienti, da una parte a causa delle lobby di potere e dall'altra per un diffuso ciarlatanìsmo estrema-mente pericoloso. Ci vorrà del tempo prima che gli uni rinuncino al potere e gli altri si preparino adeguatamente per non nuocere. Non bisogna dimenticare che un ammalato si trova in una situazione di patta ormonale, in quanto diventa dipendente dal terapeuta che lo cura e in uno stato di "depressione di accompagnamento" che si abbina sempre alla sua patologia. Perciò può essere facile preda dì terapeuti alternativi poco scrupolosi. Bisogna restare con i piedi per terra: così come una patologia è tale se degli esami clinici appropriati ne attestano l'esistenza allo stesso modo la guarigione deve essere comprovata da esami medici. Altrimenti si può raccontare ciò che si vuole!

"Al paziente spetta la decisione finale sul che fare o non fare perché quella decisione, in ultima analisi, non è né scientifica né pratica. E esistenziale. E a ognuno spetta decidere se e come vuole ancora vivere".

Fin da bambini ci hanno abituati a credere che, se abbiamo la bua, "chiamiamo il pediatra che ti darà qualche medicina e tutto passa"! Così medico e medicinali sono inconsciamente diventati il punto di riferimento, l'antidoto ad ogni male e l'automatismo si è instaurato nella nostra mente. Questa è ormai l'unica via che conosciamo per risolvere i nostri problemi di salute. Ma "non sono le medicine che curano il corpo, ma il corpo che si cura servendosi, eventualmente, delle medicine. L'ortopedico rimette a posto l'osso rotto e l'ingessa bene, ma la guarigione è opera del corpo stesso... o della sua "forza vitale"".

Se è dunque vero che dobbiamo cercare di interpretare il messaggio del nostro malessere ritrovando il punto dolens, è anche vero che solo noi conosciamo i meandri più reconditi della nostra esistenza, le debolezze del nostro carattere, gli stress che abbiamo vissuto. La ricerca delle cause della nostra patologia non è sempre facile poiché esse si annidano spesso nell'inconscio e perciò non siamo in grado di contattarle. Ma anche quando lo stress è ben presente siamo incapaci di mettere in relazione il tipo di vissuto con la malattia. Perciò abbiamo bisogno di un terapeuta che ci guidi nella ricerca e che smonti i meccanismi.
Tuttavia è possibile percorrere da soli un buon pezzo di strada modificando quei comportamenti che stanno alla base del nostro malessere.
I proverbi hanno sempre un fondo di verità e nessun detto è più appropriato di quello che dice: "Chi ben comincia è a metà dell'opera" oppure di quell'altro che recita: "Aiutati che il ciel ti aiuta"!

"La malattia è lo sforzo che fa la natura per guarire l'uomo.
Noi possiamo dunque imparare molto dalla malattia
per ritornare alla salute e ciò che al malato
appare indispensabile scacciare,
racchiude l'oro che non può trovare da nessun'altra parte".
(Carl Gustav Jung)


lunedì 29 luglio 2013

IL DIABETE MELLITO, la Nuova Medicina Germanica ci aiuta a comprenderne le cause


L'autore dopo una breve rassegna riguardo la malattia diabetica e la sua classificazione secondo la diagnostica delle Leggi Biologiche, evidenzia, come esempio didattico, un caso clinico e pone dei quesiti come base per un ulteriore approfondimento

del Dr. Roberto Luciani








 
Introduzione
Il pancreas è una ghiandola esocrina che secerne i succhi pancreatici nel duodeno dopo la stimolazione data dall'ingestione di un pasto, esistono però all'in­terno dell'pancreas alcune centinaia di migliaia di agglomerati cellulari dette " isole del Langerhans ". Queste isole hanno caratteristica endocrina e conten­gono quattro tipi di cellule, così denominate:
·    cellule beta che secernono insulina
·    cellule alfa che secernono glucagone
·    cellule delta che secernono somatostatina
·    cellule gamma che secernono un polipeptide pan­creatico a funzione ancora sconosciuta ma che ri­duce l'appetito.
Le cellule beta rispondono con la secrezione d'in­sulina ogni volta che registrano un' aumento nel san­gue circolante della concentrazione del glucosio.
L'effetto dell'insulina è:
·       stimola i muscoli scheletrici ad assumere gluco­sio e trasformarlo in glicogeno ed assorbire am­minoacidi e trasformarli in proteine
·       stimola gli epatociti ad assumere glucosio e tra­sformarlo in glicogeno
·       inibisce la glicogenolisi
·       inibisce la trasformazione da grasso e proteine a glucosio (gluconeogenesi)
·       stimola le cellule grasse ad assumere glucosio e trasformarlo in grasso
·       stimola le cellule dell'ipotalamo a ridurre l'ap­petito

Il diabete mellito
È comunemente definito una sindrome caratteriz­zata da iperglicemia conseguente alla diminuzione assoluta o relativa della secrezione e/o dell'azione dell'insulina.
Esistono vari tipi di diabete mellito, (da ora de­nominato DM) i principali coinvolgono circa il 10% della popolazione e sono definiti:
·    IDDM: diabete mellito di tipo I o diabete giova­nile insulino-dipendente
·    NIDDM: diabete mellito tipo II o diabete mellito non insulino-dipendente
Le principali caratteristiche sono elencate in ta­bella
Il DM di tipo I rappresenta il 10-15% di tutti i casi di DM; è la forma predominante di DM dia­gnosticato prima dei 30 anni, è caratterizzato da fre­quente ketoacidosi (i pz. sono solitamente magri) ed il pancreas produce insulina in quantità molto ridotta o assente.
Circa 1'80% dei pazienti presenta nel siero anti­corpi diretti contro componenti citoplasmatiche delle cellule insulari
In questi pazienti si ha la distruzione di circa il 90% delle cellule β  insulino secernenti tramite mec­canismi immunitari cellulo-mediati, (infiltrazione di linfociti T e macrofagi), gli anticorpi solitamente presenti all'esordio diventano indosabili a distanza di alcuni anni.
In alcuni soggetti con questa forma clinica di dia­bete, in modo particolare non-caucasici non è dimo­strabile alcuna evidenza di disordine autoimmune ed essi sono classificati come "tipo I idiopatico".
Molto controversa è la predisposizione genetica che addirittura nei gemelli è minore del 50% , an­che se si ritiene che la suscettibilità a sviluppare un DM tipo I sia poligenica; nelle popolazioni di razza bianca sembra esista un associazione tra il DM tipo I e specifici fenotipi HLA-D (3;4) ma ha bassa espressione quindi vengono considerati predispo­nenti anche i fattori ambientali quali i virus (rosolia, parotite, coxachie B); l'allattamento con latte vacci­no anziché materno e fattori geografici, poiché esiste un incidenza maggiore di DM tipo I in Finlandia e in Sardegna.
Il DM tipo II, invece, è la forma diagnosticata maggiormente sopra i 30 anni ma può comparire an­che nei bambini e negli adolescenti. È caratterizzato clinicamente da iperglicemia e resistenza all'insuli­na.
Sebbene il tasso di concordanza nei gemelli orno-zigoti sia del 90% questa volta non è stata dimostra­ta alcuna associazione tra questa forma di malattia e specifici fenotipi HLA o anticorpi citoplasmatici contro cellule insulari.
Il DM tipo II è in realtà un gruppo eterogeneo di disordini nei quali l'iperglicemia è il risultato sia di un'alterazione della risposta secretoria insulinica al glucoso sia di una ridotta capacità dell'insulina di stimolare la captazione del glucoso da parte del mu­scolo scheletrico e di inibire la produzione epatica del glucoso (resistenza all'insulina).
In ogni caso il fenomeno di resistenza all'insulina è molto diffuso e la maggior parte dei pazienti che ne è affetto non sviluppa il diabete.
Nel DM tipo II le isole pancreatiche mantengo­no la proporzione tra cellule (3 (secernenti insulina) e cellule a (secernenti glucagone) pressoché norma­le; in sede autoptica è stata dimostrata in un'elevata percentuale di pazienti portatori di DM tipo II di de­posizione nel pancreas di amiloide anche se non si è potuta correlare con la patogenesi della malattia.

Programmi speciali biologici e sensati oncoequiva­lenti
Esiste una particolare situazione delle malattie "oncoequivalenti".
Se si segue la tabella, nel gruppo giallo del pa­leoencefalo tutte le malattie sono identiche al cancro e alla relativa fase di riparazione, se quest'avviene.
Nel paleoencefalo non ci sono malattie oncoequi­valenti, solo cancri, e in caso positivo, dopo soluzio­ne di conflitto la fase di riparazione.
Neppure negli organi mesodermici diretti dal neoencefalo (ossa, tendini, muscoli, connettivo, lin­fonodi, etc.) esistono, malattie oncoequivalenti, ma solo cancro in forma di necrosi, osteolisi, lacune nei tessuti, sostanzialmente riduzione cellulare, e nel caso di conflittolisi, si entra in fase di riparazione con ricostruzione del tessuto mancante.
Troviamo malattie oncoequivalenti solo tra le malattie ectodermiche dirette corticalmente.
I programmi speciali biologici oncoequivalenti, sono malattie ectodermiche che seguono le cinque leggi biologiche ma invece di riduzione di sostan­za cellulare mostrano una sensata riduzione o bloc­co funzionale. Ne fanno parte il diabete, le paralisi motorie e sensoriali, l'insufficienza del glucagone, i disturbi della vista e dell'udito.
Nelle malattie oncoequivalenti le cellule dell'or­gano non si riducono, appaiono però in certa misura modificate, come pure sono modificate le aree cere­brali corrispondenti, (focolai di Hamer), anche dopo molti anni se avvenisse la soluzione del conflitto le cellule sarebbero in grado di riprendere in parte la loro normale funzione.
Se consultiamo la tabella scientifica della nuova medicina germanica troviamo il diabete mellito tipo II nella parte rossa (Rb2dx) inserito nelle malattie oncoequivalenti dell'emisfero corticale destro, la cui caratteristica è il deficit o blocco di funzione, sensa­tamente in fase attiva, senza ulcere.
La manifestazione del programma SBS nell'or­gano è la riduzione funzionale, in qualsiasi caso di diabete mellito, iperglicemia, insufficiente produzio­ne di insulina, riduzione di funzione delle cellule β  delle isole di Langerhans del pancreas.
Il conflitto biologico è di repulsione "non voglio averci a che fare", "mi oppongo", del doversi difen­dere da qualcosa o qualcuno in particolare; il FH è frontale dx nel diencefalo.
In fase CA si ha una riduzione della funzionalità delle cellule β delle isole di Langerhans del pancreas, e quindi un aumento progressivo della glicemia a causa della riduzione dell'insulina.
Il senso biologico è un aumento della disponibili­tà del glucosio perché nel conflitto di repulsione per "opporsi" si verifica una tensione tonica dei muscoli che provoca un maggior consumo degli zuccheri.
Nella fase PCL si ha una lenta diminuzione del tasso glicemico, bisogna prestare attenzione alla crisi epilettoide in cui potrebbe scatenarsi una forte iper­glicemia seguita per un periodo più lungo da un fase ipoglicemica.

Il signor Oreste, destrimane, odia l'ospedale
Conosco da molto tempo il signor Oreste perché abbiamo frequentato lo stesso liceo, da ragazzo fino la fine dell'università è stato un buon atleta dedican­dosi alla pallacanestro nella squadra cittadina ed in seguito ha mantenuto l'attività fisica con i vecchi compagni formando una squadra di "senior".
Quarantotto anni in leggero sovrappeso, amante del cibo, sposato con due figlie e buona posizione sociale, un mese prima sua madre aveva avuto gravi problemi cardiaci con un ricovero ospedaliero d'ur­genza in terapia intensiva e due delicati interventi al cuore: questo aveva costretto il signor Oreste ad en­trare in ospedale per le visite alla madre sopportan­done la vista in un reparto di terapia intensiva.
Famosa sin dal liceo era la sua riluttanza a tutto ciò che era medico, poteva svenire se vedeva fare un'endovena o semplicemente una siringa o la vista del sangue e solo l'odore dei disinfettanti ospedalieri lo metteva in forte disagio.
Devo aggiungere che sino ad ora il signor Oreste aveva sempre goduto di buona salute con esami ema­tici risultati nella norma.
Il dramma avviene durante la rituale partita di calcetto del giovedì sera, a seguito di uno scatto sof­fre di un forte dolore alla caviglia e la sente cedere, non riesce più ad appoggiare il piede e l'articolazio­ne non lo regge, in moto raggiunge il pronto soccor­so dell'ospedale dove gli bloccano l'articolazione e lo invitano a tornare al mattino dopo per un breve ricovero, la diagnosi è rottura del tendine achilleo, necessita di un semplice intervento di sutura del ten­dine e un apparecchio gessato per venti giorni.
Il signor Oreste non ha paura del dolore e pensa di cavarsela con una semplice "ricucita", si appresta così di buon grado al breve ricovero organizzandosi per riuscire a seguire i mondiali di calcio che si stan­no giocando in quei giorni.
Ma una volta ricoverato in ospedale, all'esame ematico risulta un alto tasso glicemico cosa che comporta un ritardo nell'esecuzione dell'operazione. L'attesa dura circa 10 giorni nei quali cominciano a passargli davanti altri pazienti e, poiché è bloccato a letto, il medico gli prescrive giornaliere iniezioni nella pancia di anticoagulante per evitare l'eventuale flebite.
Ad un ennesimo esame ematico a cui viene sotto­posto risulta ancora la glicemia alta ed il medico gli comunica che molto probabilmente è affetto da dia­bete mellito non insulino-dipendente tipo II, che per fortuna è stato scoperto, ma che renderà più difficile la guarigione del tendine una volta operato, vengono così aggiunte altre due iniezioni giornaliere di insu­lina.
La situazione comincia a farsi difficile, la routi­ne ospedaliera prosegue e nella stanza a quattro letti del reparto ortopedico si susseguono i più disparati politraumi.
Intanto, grande appassionato di calcio, sceglie di non vedere le partite dei mondiali rimanendo a letto. Siamo in questa situazione quando mi reco in ospe­dale a visitarlo, essendo a conoscenza del suo quadro clinico e sapendo che aveva sempre avuto una glice­mia normale provo ad iniziare una piccola indagine "criminalistica", come la definisce il dr. Hamer: pro­vo a chiedergli se c'è qualcosa che gli provoca mol­to disgusto o paura in quella situazione e non riesco neanche a finire la frase che mi interrompe agitato dicendomi "...già quando sento il rumore del car­rello delle medicazioni in fondo al corridoio provo ribrezzo e mi vengono i brividi, ma non posso fare niente..."
La storia non ha un lieto fine hameriano perché il signor Oreste è stato operato e dopo tre mesi di gesso ha iniziato la riabilitazione, si è fatto qualche centinaio di iniezioni tra anticoagulanti ed insulina che ora ha sospeso ma con la sua bella diagnosi di diabetico dovrà continuare per sempre a autosommi­nistrarsi il destrostick e dopo verifica della glicemia assumere le compresse, sempre mai più di venti mi­nuti prima di mangiare, è dimagrito perché sottopo­sto a regime alimentare stretto e tutto sommato alla fine mi sembra un po' più triste di prima, ma forse è solo una mia impressione.
È il conflitto tipico di resistenza, di opposizione a qualcosa o qualcuno ma contro cui non possiamo fare niente in una situazione di completa dipendenza da cui non possiamo uscire sottoposti ventiquattro ore al giorno ad una situazione in cui non volevamo entrare e la cui liberazione non dipende da noi.
Questo è un esempio tipico di DM tipo II che risponde alle cinque leggi biologiche delle malattie oncoequivalenti dirette corticalmente in cui si ha nel­le cellule dell'organo sottoposto una diminuzione di funzione (in questo, caso le cellule beta del pancreas) con un aumento della glicemia.
Si deve ancora indagare e dare una risposta più articolata al DM tipo I in cui invece si ha distruzio­ne delle cellule beta, un invito a tutti i volenterosi “criminalisti hameriani” che hanno a cuore la nuova medicina germanica.


Fonte: tratto dalla rivista Psiche-Cervello-Organo