martedì 25 settembre 2012

Gli Stati Uniti e i paradossi della Libertà occidentale: sì alla satira, no all'informazione


Mentre accusano Assange di spionaggio e additano la CNN per aver pubblicato il diario dell'ambasciatore ucciso a Bengasi, gli USA difendono la libertà di espressione nel caso del film blasfemo e delle vignette su Maometto. I paradossi della libertà (e del potere).


Anno Domini 2012 - L'era della comunicazione totale, dell'avanzata tecnologica, dell'evoluzione scientifica si apre all'insegna della Guerra tra religioni. Mezzo pianeta – in questo esatto istante – è impegnato a discutere di entità divine, della loro presunta unicità, della loro inviolabilità, del loro essere più o meno degne di prostrazione, del loro essere più o meno crudeli. Mezzo pianeta è infiammato da focolai di protesta che hanno come principio guida il buon vecchio adagio dello scherza coi fanti, ma lascia stare i santi; il che, in una terminologia più giornalistica e contemporanea, si traduce nell'idea che la satira sia accettabile quando mette in discussione il potere, ma non lo sia quando mette in discussione il divino. Prima di giudicare troppo ferocemente coloro che schierano a difesa dei santi, però, occorre fare una riflessione.
Tra satira e informazione il passo è breve; anzi, quando l'informazione è anti-sistemica, quando è indagine, quando scoperchia verità sopite, quando conferma sospetti, il passo è pressoché nullo. Satira e Informazione libera sono sorelle: l'una è il completamento dell'altra, così come il ridere lo è del piangere. La satira, infatti, altro non è che un complesso, gigantesco artificio retorico che da secoli serve lo scopo di delegittimare il Potere per mezzo del ridicolo. La satira mostra i grotteschi paradossi che si celano dietro ogni dogma (religioso, economico, politico, sociale, ideologico) al fine di svelarne l'assurdo, denudare la verità e spingere gli esseri umani a non avere più paura del potere, a non seguirne le insensate regole se li rendono schiavi inconsapevoli. Nel migliore dei casi, la satira porta gli esseri umani a ribellarsi contro la presunta irreversibilità dello status quo, facendo sì che ogni individuo si riappropri del suo poter fare (potere troppo spesso regalato a chi – poi – lo tramuta in sopraffazione, in potere su). In questo senso, quanto sono diverse le vignette su Maometto e i documenti riservati diffusi da Assange? Quanto sono diversi il film blasfemo e il diario segreto dell'ambasciatore a Bengasi pubblicato dalla CNN? La verità è che lì dove il mondo islamico continua a regalare potere rifiutandosi di dubitare dell'inviolabilità del divino, il mondo occidentale continua a regalare potere rifiutandosi di dubitare dell'inviolabilità del segreto di stato. Laddove il mondo islamico chiede di scherzare coi fanti lasciando stare i santi, l'occidente – pur negandolo nella teoria – si fa promotore in pratica del principio opposto: per questo perseguita Assange   a tutt'oggi asserragliato nell'ambasciata ecuadoregna; per questo accusa la CNN per aver rivelato il contenuto del diario dell'ambasciatore statunitense ucciso a Bengasi.
Ma se un film che ridicolizza l'islam e fomenta la convinzione secondo cui ogni fedele di Maometto sia un violento, sadico criminale, rientra in ciò che un essere umano evoluto dovrebbe considerare “libertà di espressione”, come mai il contenuto di un diario direttamente connesso all'uscita del film, un diario che getta un'ombra non da poco su chi abbia ucciso l'ambasciatore e sulla prevedibilità dell'assassinio, non dovrebbe rientrare tra ciò che agli esseri umani non-potenti è dato sapere? Certo, finché i ‘santi' sono quelli degli altri, ogni cosa è lecita e gli altri dovrebbero capire, se non capiscono sono bruti, primitivi, incolti e incivili; ma se invece si tocca ciò che l'occidente considera santo, ovvero la necessità di tenere i comuni individui all'oscuro delle complesse trame che muovono lo scacchiere del mondo, allora occorre doversi trincerare dietro la ridicola affermazione per cui in questo caso è diverso. Eh già, perché loro difendono un dogma, una fede, qualcosa di impalpabile, invece l'occidente difende il principio secondo cui il popolo non può affrontare la verità, non può conoscere tutti i retroscena delle decisioni che cambiano la loro vita, la verità sugli accordi che modificano le loro possibilità future: il popolo non è in grado di comprendere la necessità di certe scelte. Se suona come un dogma, è perché lo è. È un principio così radicalmente dogmatico da non essere mai stato messo in discussione nella storia, ed è per questo che occorre difenderlo, anche a costo di perseguitare gli artefici delle soffiate, magari sbattendoli in galera con un mero abbozzo di accusa.
I dogmi sono il nemico numero uno dell'evoluzione. Non dubitare mai, non tentare mai la strada della messa in discussione delle proprie convinzioni più profonde significa impedire a se stessi di utilizzare tutto il potere di cui si è capaci. E se non lo si utilizza, si finisce per cederlo a chi vuole accumularlo. Che lo si voglia o meno, ogni concessione fatta sul piano del potere viene compensata dall'insorgere di limiti. Ora: se i limiti non vengono imposti dall'altro ma sono la traduzione in regola di necessità condivise, se sono accettati nella loro oggettiva, logica necessità per il proseguimento di una serena vita sociale, il problema non esiste: ogni essere umano evoluto cede con leggerezza porzioni di potere (leggasi libertà) perché la propria esistenza incroci serenamente quella di chi gli sta intorno. In teoria, chiunque ha il potere (la libertà) di ammazzare, ma in pochi lo fanno. E se lo fanno in pochi non è per paura della punizione, ma perché pochi sentono quella necessità profonda. Se così non fosse, l'idea della punizione non li fermerebbe. Questo significa che esistono già pezzi di potere a cui rinunciamo, pur nella consapevolezza di possederli, perché l'obiettivo della serena convivenza è più importante, più alto, migliore. Ma resta comunque una decisione consapevole, una scelta. Quanti di coloro che – in queste ore – si sperticano nel difendere la privacy dell'ambasciatore, la necessità di nascondere alcuni dettagli per ragioni di sicurezza (la sicurezza di chi?), hanno scelto consapevolmente di rinunciare a sapere? Non si tratta piuttosto di un'adesione cieca a una teoria di cui non è possibile dar prova, neppure retoricamente?
Infatti, se esiste la prova provata che uccidere è causa di sofferenza diffusa, che la sopraffazione mortifica l'umanità che ha sede in ognuno, allora è lecito mettere in discussione la libertà di far uso del potere di ammazzare e fare di questa consapevolezza un principio logico-matematico, una scelta che sia patrimonio collettivo perché utile ad ognuno; ma della necessità di segreti di stato non esiste prova, non esiste scelta operata consapevolmente e collettivamente. È un dogma, un principio non molto distante da quello che anima e infiamma il mondo islamico.
Diverse sono le reazioni, diversi sono gli strumenti, diverse sono le armi di difesa, ma è sempre e comunque una fede a incatenare il mondo.

Fonte: http://www.fanpage.it

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