Pubblichiamo il Manifesto per la Nuova
Europa redatto da un gruppo di lavoro di Alternativa
(laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa), aperto al contributo di
intellettuali provenienti da diverse esperienze e traiettorie
professionali.Il documento è stato presentato il 17 giugno 2013 a
Bruxelles presso il Parlamento Europeo, in occasione di un confronto
internazionale promosso da svariati gruppi politici, preliminare per una nuova
Europa e contro l’Europa della troika.
Giulietto Chiesa |
Lo
scenario
Un club planetario a vocazione totalitaria sta
distruggendo l’Europa dei popoli, la nostra vita, la nostra democrazia, la
nostra libertà.
Il nostro futuro è in grave
pericolo.
Gradualmente, senza che ce ne rendessimo conto, siamo
stati consegnati nelle mani di un’oligarchia senza patria e
senz’anima,
il cui unico collante è il delirio di onnipotenza derivante dal possesso del
denaro infinito che essa crea.
Coloro che ci hanno condotto a questo precipizio
sono i maggiordomi del “proprietari
universali”:
i proprietari finali delle azioni di banche, fondi e corporations
internazionali, persone che nessuno di noi conosce, che nessuno ha mai eletto ma
che determinano le nostre vite. Essi, sostenuti da parlamenti formalmente
eletti, ma in realtà nominati dall’alto, hanno consegnato il potere politico ed
economico – un tempo prerogativa degli Stati – a strutture prive di ogni
legittimazione democratica.
Queste strutture sono le impalcature di un
Nuovo Ordine Mondiale
in via di avanzata costruzione. Si tratta di un’ipotesi eversiva e autoritaria
che i pochissimi, e già smisuratamente ricchi, vogliono imporre a moltitudini
già impoverite. È un disegno non solo criminale, ma anche aberrante,
essendo fondato sull’illusione della crescita infinita ed è dunque destinato a
produrre caos e guerre,
poiché rifiuta di constatare la fine dell’era dell’abbondanza.
Questo club planetario totalitario, consapevole del
crescere della protesta e della ribellione popolare, si prepara a reprimerla.
Sa della precarietà dell’inganno con cui ha
usurpato il potere; sa che le sue sedicenti leggi economiche e monetarie sono
una truffa globale;
sa che il denaro virtuale mediante il quale ci domina, è destinato e finire in
cenere.
Per questo gli oligarchi destabilizzano le residuali istituzioni
democratiche,
introducono nuove leggi e modifiche costituzionali usurpatrici, mentre si
apprestano ad allungare le mani sulle ricchezze materiali e immateriali ancora
disponibili: territori, acqua, cibo, fabbriche, risparmi, storia, monumenti,
musei, parchi naturali, “risorse umane”.
Compreranno tutto, a prezzi stracciati,
privatizzando se possibile anche l’aria che
respiriamo, con l’immensa massa di denaro virtuale, trasformato in
debito,
che stanno creando dal nulla a ritmi vertiginosi.
Noi esigiamo che in una nuova, vera Costituzione
Europea, sia scritto a chiare lettere che i popoli hanno diritto di resistere contro chiunque
cercasse di rovesciare l’ordine costituzionale.
In ogni paese e nell’Unione.
Se non li fermiamo, alla fine resteranno intere popolazioni – cioè
tutti noi – ridotte in miseria,
ignoranza e schiavitù, cioè senza beni e senza diritti e quindi senza
futuro.
Alla tragedia dei greci sta seguendo il collasso dei
portoghesi, dei ciprioti, degl’italiani. Ma la lista d’attesa si allunga alla
Francia, al Belgio, alla stessa Germania, che sta in piedi solo grazia alla fuga
di capitali dalle zone colpite a morte da una austerità selvaggia,
indiscriminata e confiscatoria.
Questo è il ritratto di ciò che resta del progetto di pace,
integrazione, coesione e benessere europeo.
Questo disegno è stato
cancellato.
In una sorda lotta per la supremazia, l’Europa è stata piegata dall’egemonia
politica, militare, economica e culturale degli Stati Uniti.
Il dominio, del dollaro come moneta-potenza,
ha prima loro permesso di assoggettare letteralmente l’Europa e di vincolarla al
disegno militare della Nato. Poi, con la sconfitta definitiva dell’Unione
Sovietica, e il suo crollo, di imporre anche al resto del mondo sia il capitalismo
finanziario-speculativo concentrato nel “servizio monetario” di Wall Street e
della City di Londra, sia la mutazione della NATO da alleanza difensiva ad
alleanza aggressiva, pronta ad agire su teatri di guerra lontani dai confini
dell’Alleanza.
Gli strumenti messi in atto dal 1990 in poi in Europa non sono stati effetti
collaterali di scelte “sbagliate” che produssero la crisi sociale ed economica
dei popoli europei. Essi, al contrario, furono colonne portanti di quel
progetto, che è quello dell’apartheid globale della Troika.
All’Europa è stata imposta – e i leader europei
l’hanno accettata supinamente e fatta propria – la
globalizzazione.
Le regole USA
sono state esportate insieme alla deregulation,
alle privatizzazioni, all’attacco allo Stato, alla deificazione dei mercati,
alla trasformazione delle relazioni umane e perfino della politica in merce. Il
potere politico è passato nelle mani dell’alta finanzia internazionalizzata.
Lo stesso allargamento frettoloso dell’Unione Europea a 27
paesi, con l’inclusione di quasi tutti gli ex satelliti del
Patto di Varsavia e perfino delle tre repubbliche ex sovietiche baltiche, è
stato preceduto di fatto dalla loro subitanea inclusione nella Nato. In tal modo
garantendo agli Stati Uniti il controllo, diretto e indiretto, dei successivi
processi d’integrazione europea. Si è cercato e si cerca, spasmodicamente, di
introdurre nel tessuto socio-economico europeo, e nella sua stessa cultura,
pseudo valori e stereotipi di una fasulla american way of life.
Il progressivo controllo e concentrazione dell’industria della
comunicazione e dell’informazione di massa,
fino alla capillare e mostruosa espansione dei social network
(come ormai tutti sanno sotto diretto controllo politico statunitense), ha
prodotto una vera e propria modificazione antropologica dei popoli europei,
anche se le correnti profonde della storia europea hanno manifestato insperate
capacità di difesa nei confronti dell’aggressione ideologica finanziaria e
culturale.
L’esplosione della crisi,
che si è verificata proprio nel centro del potere imperiale (dunque espressione
di una gravissima malattia interna ad esso, che si è coniugata con la
progressiva rarefazione delle risorse disponibili e con l’apparire sulla scena
di altri giganti non più riconducibili al disegno dei “proprietari universali”)
ha rivelato la fragilità del loro progetto.
Si pone concretamente, urgentemente, la necessità
di fermarli.
In primo luogo perché essi sono i produttori della povertà e della guerra.
Milioni di europei, praticamente ormai di ogni classe sociale, ad eccezione dei
pochi assoldati per svolgere il ruolo di servi privilegiati (e, tra questi, vi
sono i principali controllori dell’informazione-comunicazione) sono in cerca di
un’alternativa alla crescente insostenibilità della loro condizione sociale.
Cresce l’inquietudine e l’incertezza, la sensazione
di un pericolo incombente.
È acquisizione comune che la prossima generazione sarà
la prima – dalla seconda guerra mondiale a oggi – che avrà condizioni di
esistenza peggiori di quelle dei padri. E tuttavia ancora lungo è il percorso da
fare, per i “molti”, prima di arrivare a comprendere che non è in gioco soltanto
il loro tenore di vita. In gioco è infatti la loro stessa vita e quella dei
loro figli.
Sono in gioco le sorti stesse del genere umano, poiché la “cupola” del potere
vuole palesemente estendere la sua rapina ai sette miliardi di individui che
popolano il pianeta. E non potrà più farlo impunemente, come ha fatto negli
ultimi tre secoli, perché là stanno sorgendo – anzi sono già sorti –
protagonisti in grado di difendersi e contrattaccare.
Per decine di milioni di europei si pone dunque il
compito di respingere un cosiddetto nuovo ordine mondiale che
si presenta in realtà come un nuovo feudalesimo,
in cui una infinitesima parte del genere umano avrà diritto di vita e di morte
su tutti e in cui ai popoli resterà come unica via d’uscita la sottomissione.
La democrazia liberale è già stata irrimediabilmente
lesionata ed era, insieme ai diritti umani, l’unico valore, diverso dal potere
del denaro, rimasto a baluardo della cosiddetta “civiltà
occidentale”.
È giunto il momento di fermare la “scimmia al
comando”.
E di togliere da quelle mani, in primo luogo, i pulsanti della guerra. Nessun
soldato europeo dovrà più partecipare ad alcun conflitto fuori dai confini
dell’Unione, tanto meno se mascherato da missione umanitaria e di pace.
Occorre cominciare a definire principi e valori che
siano adatti alla transizione
da una organizzazione politica, economica e sociale insostenibile – e destinata
a morire tra le convulsioni – a una società sostenibile, in pace con la Natura,
con l’ecosistema. Una civiltà della convivenza, che progredisca “con il passo
dell’Uomo”, quindi democratica. Queste sono le condizioni per la
sopravvivenza.
Principi generali per un
Rinascimento Europeo
La Nuova Europa
che vogliamo dev’essere liberata da vincoli ideologici neo-conservatori,
mascherati spesso da linguaggi e procedure burocratiche incomprensibili ai più,
e che opprimono i popoli mentre accrescono le divisioni tra gli Stati. Uno di
questi vincoli è diventato la moneta comune così com’è oggi.
L’euro, moneta privata, stampata da banche private
per le banche private, é un problema per tutti, sia per i “forti” che per i
“deboli”.
S’impone dunque un nuovo sistema monetario
comune,
concordato, che preveda una superiore autonomia di politica finanziaria degli
Stati membri e che restituisca ai parlamenti nazionali le fondamentali decisioni
in materia. Solo su queste nuove basi si potrà tornare a parlare di
trasferimento graduale, democratico, condiviso, di sovranità ad un parlamento
europeo realmente rappresentativo e dotato di effettivi poteri.
La Nuova Europa che vogliamo non può accettare gli
attuali livelli di diseguaglianza economica e sociale tra i popoli europei e
all’interno di ogni singolo paese. Occorre che l’Europa dichiari “illegale” la
povertà.
Occorre che la prima e principale preoccupazione dei governi europei e del
futuro governo europeo sia quella di garantire la piena l’occupazione e la
dignità di un salario equo.
Occorre, cioè, abbandonare per l’immediato ogni politica di
austerità e promuovere un ritorno senza equivoci a un’Europa
sociale.
Ciò implica e presuppone il rigetto degli attuali Trattati Europei e l’avvio di
una nuova fase costituente.
La Nuova Europa deve basarsi sul riconoscimento pieno
(con tutte le conseguenze che ne discendono) che si tratta di
un’unione tra “diversi”.
Non solo per storia, lingua, tradizioni, assetti giuridici, organizzazione
politica, ma anche e soprattutto per livelli di organizzazione sociale, di
efficienza, di tenore di vita. Ciò significa che, pur dovendosi prevedere norme
comuni, valide per tutti e da tutti accettate, si definiscano meccanismi di compensazione per
produrre riequilibrio e
ridurre le differenze in tempi definiti.
Una Nuova Europa non può che essere un’Europa
solidale.
Una Nuova Europa dev’essere democratica.
Non può essere democratica se non sarà capace di
valorizzare le diversità che la caratterizzano.
Non potrà valorizzare queste diversità se la federazione assumerà forme
centralistiche rigide.
Una Nuova Europa non può essere democratica e solidale
all’interno e praticare all’esterno le regole della globalizzazione imperiale.
Una nuova Europa non può essere democratica e
solidale, all’interno e all’esterno, se non ripudia la guerra e forme di imposizione e sopruso
nei confronti dei partner vicini e lontani.
I principi europei possono e debbono essere difesi e diffusi, ma non possono e
non debbono essere imposti all’esterno.
Chiare proposte (di
lotta) per il cambiamento
Siamo consapevoli che alcune di queste proposte non
trovano, al momento, che pochi riscontri nella volontà dei governi, e nella
coscienza delle popolazioni. Non perché non siano buone e giuste, ma perché
la forza manipolatrice dei detentori del potere è
stata determinante.
Noi siamo convinti, tuttavia, che attorno ad esse sia
possibile costruire un movimento di opinione e di alleanze
politiche, sociali, produttive
che le trasformi in proposte attuabili perché largamente condivise. Esse sono
infatti necessarie per ogni progetto di una nuova Europa e, senza di esse, non
sarà possibile affrontare la transizione verso una nuova società . La loro
comprensione sarà tuttavia resa possibile, in tempi brevi, dall’accelerazione
della crisi sistemica in USA, Europa, Giappone e dai primi segnali di un
rallentamento cinese.
Occorrono dunque misure immediate per un cambio di
rotta. Ciascuna di esse rappresenta uno strumento
indispensabile per avviare una transizione necessaria.
Per ridurre il debito,
tanto pubblico quanto privato, occorrono – va detto senza remore – drastici
cambiamenti di regole finanziarie. L’austerity
non solo non porta alla riduzione del debito, essa lo peggiora mentre crea
recessione e riduce l’occupazione. Gl’interventi pubblici devono imporre controlli sui
movimenti di capitale.
Bassi tassi d’interesse devono far diminuire la spesa per interessi riducendo
così i deficit pubblici. Tagliare il valore reale del debito si può fare
solo trasferendo risorse dai creditori ai debitori,
non imponendo altri tagli alla spesa pubblica, o cercando maggiori entrate
fiscali che finiscono per colpire solo quelli che già le pagano e non coloro che
le evadono, come le grandi corporations internazionali.
L’alternativa è tra immolare la vita di centinaia
di milioni di persone o sacrificare un poco speculatori e
redditieri.
Ripetiamo: questo implica la denuncia dei trattati di Maastricht e di
Lisbona,
che costituiscono le basi dell’aggressione finanziaria contro i popoli
europei.
Si deve procedere alla nazionalizzazione di tutte le banche centrali dei
paesi membri e
ad una corrispondente, drastica modifica del ruolo e della struttura della
Banca Centrale Europea.
Gli Stati della zona euro (e quelli che vi aderiranno in caso essa rimanga in
piedi), devono essere gli unici azionisti della futura Banca Centrale Europea.
Questa misura dovrà accompagnarsi alla
nazionalizzazione di tutte le grandi banche
nazionali,
trasferendo parte delle loro funzioni al sistema del credito cooperativo e
popolare
nelle varie forme storiche che esso ha avuto nel passato nei diversi paesi, o
introducendolo dove, per ragioni storiche, non fu creato. È questa la via per
restituire ai governi e ai rispettivi “ministeri del Tesoro” il controllo delle Banche Centrali Nazionali e
della BCE, ovvero la sovranità monetaria.
Tra le prime questioni da chiarire, di fronte alle
opinioni pubbliche europee, è lo stato del debito, di cui va dichiarata – di
fronte all’evidenza – la impagabilità strutturale. Ciò va fatto attraverso un
audit
che dovrà fornire, in tempi rapidi, un quadro attendibile e controllato del debito
aggregato europeo, della sua composizione, dei debiti sovrani dei singoli
stati, siano essi membri della zona euro o esterni ad essa,
identificando sia la struttura dei debiti che l’identità dei grandi creditori
internazionali.
I debiti sovrani dovranno essere progressivamente
ristrutturati e riassorbiti mediante una tassa sulle transazioni finanziarie di qualsivoglia
natura,
non inferiore allo 0,1% dell’ammontare. Una vera Tobin Tax i
cui proventi devono essere indirizzati anche allo sviluppo delle imprese, del
risanamento sociale e ambientale, al finanziamento dell’istruzione e della
ricerca. Si prevede l’istituzione di un fondo europeo speciale a tasso agevolato
per il credito a medio/lungo termine, riservato alle Piccole e Medie Imprese.
Le nuove collocazioni delle emissioni di obbligazioni sovrane dell’eurozona
saranno curate direttamente dal Tesoro degli Stati
Interessati,
senza alcuna intermediazione bancaria privata, e riservate ai cittadini del
paese emittente e ai cittadini europei ivi residenti.
Le emissioni dovranno essere vincolate
prioritariamente a destinazioni sociali, all’educazione e alla ricerca
scientifica, alla sanità pubblica, alla tutela e bonifica dell’ambiente, alle
energie rinnovabili, alla valorizzazione dei terreni e delle produzioni
agricole.
Le nuove obbligazioni sovrane dell’eurozona saranno
nominative, non negoziabili, non cedibili, trasmissibili solo per via
ereditaria, con scadenza non inferiore a cinque anni e non superiore a
dieci, ad un tasso di riferimento non eccedente il doppio
di quello praticato dalla Banca Centrale Europea riformata.
Misure decise di riforma della finanza europea e
internazionale (l’Europa dovrà agire su scala mondiale come protagonista
sovrano) saranno anch’esse indispensabili. Tra esse è necessaria la separazione
delle banche d’affari dalle banche di deposito e risparmio. Le Borse saranno il terreno d’azione delle sole
banche d’affari e investitori istituzionali di vario
genere.
E’ fatto divieto di accedere alle Borse alle banche di deposito e risparmio. E’
fatto divieto di accesso alle Borse dei fondi speculativi comunque denominati.
Deve essere ripristinato, con apposita legislazione,
il concetto della funzione sociale del credito,
che è principio giuridico e politico.
Le società di rating internazionali vanno bandite
dall’Europa:
s’impedirà così il pilotaggio internazionale della speculazione. Dovranno essere
messe fuori legge tutte le attività
off shore:
in tal modo sarà colpito il riciclaggio e ogni malversazione finanziaria. I
paradisi fiscali, com’è noto, non servono soltanto a evadere le tasse, ma
servono alla criminalità organizzata. Le banche e le Borse che seguissero questi
indirizzi (che sono attualmente la pratica comune di tutta la finanza mondiale),
andranno immediatamente «sospese» come si fa normalmente quando interviene una
turbativa d’asta a scopo speculativo. Gli strumenti finanziari speculativi
Over The Counter (ossia fuori del controllo istituzionale) dovranno
essere messi fuori legge.
E’ fatto divieto di aiuti pubblici alle banche
private.
Il principio del “troppo grande per fallire” deve essere dichiarato illegale. La
privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite è il
comandamento del sistema bancario e la condanna dei popoli ad essere rapinati.
Tutto ciò (e molto altro ancora) deve partire
dall’introduzione di una politica europea per la redistribuzione del
reddito, attraverso un sistema fiscale equo e condiviso.
Ciò implica l’abrogazione del fiscal compact,
che è il vertice massimo dell’ingiustizia e del furto di sovranità. Sappiamo che
questa prospettiva incontrerà resistenze micidiali e reazioni scomposte. La
Banca Centrale Europea ripete ad ogni passo che non esiste un “piano B” e che si
proseguirà con l’euro così com’è. Se le cose procederanno in questa direzione,
occorrerà costruire delle casematte difensive, sotto forma di alleanze europee
tra paesi più colpiti.
Sia per fronteggiare il disastro sociale, sia per evitare di trovarsi di fronte,
per esempio, a una Germania che – spinta da un egoismo populista – esce
dall’euro per conto proprio, trascinando con sé un pezzo d’Europa che è
agganciato al suo carro. Sarebbe una decisione davvero drammatica che segnerebbe
non solo la fine di un ruolo europeo della Germania, ma anche il futuro della
prosperità della stessa Germania, con danni gravi per il popolo tedesco e per
l’intera Europa e con enormi ripercussioni su scala mondiale.
E’ possibile una “ritirata ordinata”,
difensiva, dall’attuale sistema. Occorre perseguirla con decisione e con un
giusto calcolo dei rapporti di forza.
C’è l’opzione di creare un “eurosud”, che permetta a
Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Francia, altri paesi “deboli” esterni
attualmente all’eurozona, di sottrarsi al colpo che viene loro
inferto,
per giunta in condizioni di prolungata instabilità.
C’è l’opzione di una trasformazione dell’euro in moneta
di conto internazionale,
sottraendogli la natura di moneta merce, e utilizzando i sistemi di clearing per
regolare i rapporti del commercio interno europeo e quelli tra area euro e
sistema internazionale.
C’è l’opzione di una introduzione concordata di monete
nazionali che si affiancano all’euro per consentire un rilancio dell’intervento
pubblico,
incentivare la domanda locale e una fase di ripresa economica e sociale. Possono
esserci altre opzioni. Si dovrà scegliere tra di esse quella che produrrà meno
sacrifici per le classi lavoratrici, cioè per la stragrande maggioranza.
Dobbiamo tuttavia tutti non dimenticare che la crisi
dell’euro, oltre ai difetti “tecnici” che hanno contrassegnato la sua nascita,
non è altro che l’accelerazione della crisi d’identità della
politica europea,
all’interno come all’esterno.
Uscire
dall’emergenza
In questo quadro, di acuta incertezza, che si
accompagna a tensioni crescenti su scala mondiale, i popoli europei sono lasciati soli in mezzo al
guado. Il fallimento dei maggiordomi si sta trasformando in
tragedia sociale e, presto, nel crollo della democrazia europea.
Occorre dunque poggiare ogni ipotesi d’emergenza
sul sostegno di larghe masse popolari.
La difesa del lavoro è il baluardo principale per salvaguardare il tessuto
sociale e impedire ai padroni universali di trasformare la crisi in una lotta
tra diseredati. Difendere il lavoro, gl’investimenti, le imprese,
senza comprimere il reddito, significa ridurre l’orario a parità di
salario.
Difendere il tessuto sociale e stimolare razionalmente i consumi significa,
anche – non soltanto – introdurre un reddito di esistenza.
Nell’immediato occorre prevedere misure legislative e finanziarie che permettano il
potenziamento della partecipazione dei lavoratori alla direzione dell’attività
economica,
e dei cittadini alla gestione delle collettività e dei beni comuni, attraverso
lo sviluppo delle forme cooperativistiche, di associazione in partecipazione, di
suddivisione degli utili, di consorzi di imprese, di imprese auto-gestite.
Emanazione di specifici provvedimenti di urgenza che diano facoltà ai
lavoratori di imprese in crisi di rilevarne la gestione.
Altro volano di immediata efficacia e di alto valore
strategico sarà il rilancio dell’agricoltura, la fine dello
sfruttamento speculativo dei territori coltivabili, la riqualificazione del
patrimonio boschivo e la sua estensione e difesa, accompagnati da crediti
agevolati.
Divieto assoluto di utilizzo, nel territorio
dell’Unione, anche in forma sperimentale, di Organismi Geneticamente Modificati
(OGM), di diserbanti e concimi chimici, e loro sostituzione
con prodotti naturali.
Occorre una politica energetica
che riduca la dipendenza dall’estero, che contribuisca alla riduzione del
riscaldamento globale, che si realizzi attraverso investimenti massicci per
sviluppare la ricerca, per estendere l’occupazione specie giovanile: compiti
tutti di carattere sia strategico che immediato.
Immense risorse individuali, intellettuali, devono
essere messe in movimento al posto di quelle finanziarie e miopemente
economiche. La grande ricchezza europea è la sua cultura e il
suo patrimonio di professionalità e di esperienze,
che devono essere messe a tutela e al servizio del bene comune.
Il tempo individuale, quello liberato dal peso di
un lavoro inutile per consumi inutili, dev’essere indirizzato verso scopi
collettivi, mutualistici, di solidarietà.
Una nuova scala di valori deve essere introdotta nei luoghi di formazione
culturale, intellettuale.
Il sistema dei media, della comunicazione,
dell’informazione dev’essere riportato in mani democratiche e
pubbliche.
Le sole che possono aiutare milioni d’individui, isolati e mutilati dalla
manipolazione, a evadere dal dominio del consumo e a tornare a pensare in
termini di convivenza civile, di solidarietà e di giustizia.
Una nuova fase
costituente
Il 2014 sarà decisivo per il destino dei Popoli
europei.
Gli estensori di questo Manifesto ritengono quindi fondamentale avviare fin da
subito un processo costituente per la nuova
Europa.
Questa Europa è stata piegata alla cosiddetta
governance,
che altro non è che una serie di strumenti di esproprio della sovranità degli
Stati. I quali sono stati posti sotto il controllo dei sistemi bancari
internazionali e sono stati messi sotto ricatto da debiti pubblici,
artificialmente ingigantiti, che non sono più in grado di controllare.
Gli Stati sono stati trasformati in
stakeholders subordinati.
Che, per giunta, in quanto membri di un’alleanza militare che non potevano
controllare, sono stati doppiamente colonizzati. O si spezzano le catene della subordinazione, o
questa Europa sarà impoverita e trascinata in avventure militari e neocoloniali
che sono in aperto contrasto con i suoi interessi di grande protagonista, e con
gl’interessi dei popoli e della democrazia in generale.
Gli autori di questo manifesto si propongono di
attuare una contr’offensiva contro una tale aggressione e ritengono per questo
essenziale dare vita con urgenza a un processo costituzionale per una Nuova
Europa.
Per queste ragioni le attuali istituzioni europee non potranno essere
i soli attori politico-giuridici di un processo che deve promuovere una nuova
Costituzione europea.
In questo nuovo processo dovranno essere attori decisivi le società civili, i
popoli europei.
L’unica istituzione europea attualmente relativamente
permeabile a istanze democratiche reali è il Parlamento Europeo.
Il rinnovo dell’Assemblea previsto con le elezioni del 2014 è un’occasione
fondamentale da cogliere.
Gli estensori del Manifesto invitano pressantemente
tutte le forze politiche che concorreranno alla consultazione elettorale, e che
condividono nella sostanza principi e proposte finora esposti, a
costituire un coordinamento transnazionale al fine
di far giungere in Parlamento un folto gruppo di parlamentari che portino questa
piattaforma a Bruxelles e Strasburgo.
Allo stesso tempo si auspica la nascita di un “Forum Sociale per la
Costituente Europea”,
organizzazione transnazionale che si appelli a cittadini, gruppi, associazioni,
comitati, forze politiche, rappresentanti istituzionali, che si autoconvochi per
definire, in una prima fase, i principi a cui dovrebbe ispirarsi la futura
Costituzione Europea e promuova tutte le iniziative, mediatiche, sociali e
politiche, per imporre tali proposte nel dibattito pubblico europeo.
I leader europei hanno fin qui costruito una
traiettoria costituzionale contro la volontà dei popoli, il cui primo effetto è
stato quello della demolizione del progetto di pace europeo. Hanno fallito in
termini di legittimità e democrazia, e hanno acuito la crisi. I provvedimenti di emergenza sono stati presi
senza alcuna approvazione popolare.
In diversi casi i popoli sono stati impediti di
esprimersi. Si sono pensate e si preparano in tutta Europa
misure repressive in previsione di forti tensioni sociali.
La costituzione del corpo di polizia militarizzato europeo, “Eurogendfor”,
autorizzato a intervenire nei singoli stati membri, è la prova di una grave
determinazione dei poteri europei ad affrontare lo scontro sociale in termini
violenti.
Eurogendfor dovrà essere
smantellato.
Da queste attuali leadership emergono pulsioni di
riforme dei trattati ancora più coercitive, nessuna delle quali è previsto sia
sottoposta al giudizio popolare. Noi affermiamo che riforme di questa portata non
possono essere decise senza il consenso dei popoli e
che nessuno stato può essere vincolato a decisioni che non condivide.
Non dovrà ripetersi la situazione in cui, quando i
popoli hanno potuto esprimersi in referendum, si sono trovati davanti a testi di
centinaia di pagine, scritte da lobbisti in un linguaggio comprensibile solo
agli specialisti. Decisioni di rilevanza continentale sono state
dibattute in modo confuso, spesso capzioso, senza respiro
europeo.
O non sono state dibattute affatto.
Le norme costituzionali devono avere un linguaggio
chiaro.
I popoli d’Europa devono poter decidere su testi comprensibili che permettano di
scegliere tra opzioni chiare.
Il luogo istituzionale che proponiamo deve essere
molto inclusivo, rappresentativo e istituzionalmente bilanciato: è
una preliminare Convenzione, dove siano
rappresentati i parlamenti nazionali ed europeo, i rappresentanti delle società
civili, e in cui partecipino anche i capi di stato e di governo e della
Commissione europea.
L’assemblea così costituita avrà il compito di elaborare una dichiarazione sui
principi.
La dichiarazione sui principi di base dovrebbe
indicare i poteri concessi all’Unione, e definire i principi di rappresentanza
dentro le istituzioni europee, insieme alle regole di votazione.
A quel punto ogni stato membro potrà accettare o respingere la
carta dei principi di base secondo la propria
Costituzione.
Gli elettori dovranno poter eleggere i rispettivi rappresentanti nazionali
dentro la seconda Convenzione che – a partire dai principi di base – redige il
testo finale. Solo in questo modo le decisioni saranno legittimate. Fino ad ora
si è fatto l’opposto, o tutt’altro.
La seconda fase della convenzione non potrà
rovesciare i principi fondamentali.
Dovrà perciò sottoporre il testo a una corte costituzionale
speciale
che valuterà la conformità giuridica. Tutti i giudici delle alte corti di ogni
stato membro devono farne parte.
Il testo finale, prodotto dalla Convenzione, dovrà
essere approvato da referendum popolari di tutti gli Stati
membri.
È un percorso che non fissa un solo esito possibile.
Ma intanto gli estensori del Manifesto indicano alcune suggestioni utili a una nuova concezione
istituzionale della futura Europa:
La Commissione Europea,
sintesi degli aspetti più deteriori della tecnocrazia e del lobbysmo,
dovrà essere abolita.
Il Consiglio Europeo e
il Consiglio dei Ministri
Europei
dovranno convergere verso un’unica Istituzione
europea
per le materie di carattere comunitario (Politica Estera e Difesa e Sicurezza
Comune).
Le attuali materie di competenza del Consiglio dei Ministri
Europei dovranno ritornare in gran parte nell’alveo degli Stati nazionali o del
Parlamento Europeo.
Come si evince da ciò che precede, è previsto che
non tutti i popoli dell’attuale Unione Europea
vorranno continuare a farne parte.
Oppure che ve ne siano che sceglieranno una pausa di riflessione, a seconda
delle loro necessità o delle restrizioni che potrebbero non ritenere nel loro
interesse, o che risultino incompatibili con la loro Costituzione.
Il trattato sarà valido solo tra parti
consenzienti,
ma dovrà permettere alle parti non consenzienti (o solo parzialmente
consenzienti) di partecipare a tutte le attività nei campi in cui è già stata
raggiunta una comune visione.
Noi crediamo in una Europa di solidarietà,
policentrica, integrata, pacifica, che operi per superare le differenze
economiche e sociali al suo interno.
La nostra Europa dovrà avere un governo democratico e una Banca Centrale che
realizzi la politica dei governi e non il viceversa. Gli Stati che decidono di farne parte non devono
essere considerati come azionisti di minoranza di
un’impresa.
Essi sono Stati sovrani che delegano parte della propria sovranità
esclusivamente a un livello sovrastante di governo che sarà altrettanto
democratico dei governi che è chiamato a coordinare.
Occorrerà, in alternativa alla NATO, quale essa è
attualmente, un esercito europeo , il cui compito non dovrà essere quello di
intervenire in una guerra globale, ma sarà quello della difesa dei territori
degli stati dell’Unione,
in caso di comprovata minaccia locale e che dovrà essere, per il resto,
orientato a prevenire e fronteggiare le reali minacce che potranno colpire le
popolazioni in caso di catastrofi naturali di ogni genere e di emergenze
umanitarie: uniche minacce reali del tempo presente e futuro. Un esercito
europeo che, proprio per le ragioni suddette, dovrà tornare a forme di leva nazionale
obbligatoria.
Solo dopo la costituzione di un esercito europeo autonomo si avvieranno
negoziati con i restanti membri della NATO e con la Russia per la creazione di
un nuovo sistema di sicurezza continentale.
Il Parlamento Europeo deve diventare l’organo
democratico centrale dell’assetto istituzionale europeo,
il luogo dove vengono prese le decisioni politiche fondamentali. In prospettiva,
dopo una transizione di 5 anni, il Parlamento Europeo deve poter esprimere
direttamente (ed eventualmente poter sfiduciare) il Governo europeo.
Conclusione
Noi pensiamo che solo una Nuova Europa democratica possa essere uno
dei cardini della convivenza pacifica nel mondo multipolare del XXI
secolo.
Per poter svolgere un ruolo di pace e di distensione
la Nuova Europa dovrà essere forte e autonoma nelle sue decisioni.
Lo schema nemici/amici che caratterizzò la Guerra
Fredda è ormai superato.
La Nuova Europa, così caratterizzata, non ha nemici.
Il suo compito primario sarà di costruire amicizie
durature, cooperazioni strategiche a 360 gradi, poiché una qualunque guerra
globale sarà la fine dell’umanità.
Gli Stati Uniti,
da alleato-protettore privilegiato, quali sono stati, devono diventare amici in una nuova alleanza su
piede di parità con l’Unione Europea.
La Russia –
che ha bisogno dell’Europa, e che, nonostante i diversi regimi politici, è già
fortemente interconnessa con l ‘Europa – è il grande vicino di casa con cui non si può non
essere amici.
Ad essa l’Europa deve guardare come a un partner strategico, parte integrante
della indivisibile sicurezza europea.
La Cina e
l’India
sono protagonisti per superare la crisi epocale in cui versa il pianeta.
Senza di essi nessuna soluzione sarà
realistica.
Sette miliardi di individui hanno diritto a un uso equo delle risorse
disponibili. A questo non vi è alternativa se si pensa a un futuro di pace.
È questa l’unica TINA che conosciamo. Il contrario
è solo preparazione alla guerra.
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Estensori:
Giulietto Chiesa (giornalista e scrittore, presidente di
Alternativa),
Agostino C. Alciator (diplomatico, responsabile relazioni estere di
Alternativa),
Bruno Amoroso (economista, presidente Centro studi Federico
Caffé), Nando Ioppolo (avvocato ed economista, Circolo degli
Scipioni).
Hanno contribuito:
Pino Cabras, Francesco Caudullo, Alberto Conti, Margherita Furlan, Daniele
Mallamaci, Simone Santini, Fabrizio Tomadoni.
Hanno partecipato:
Gilberto Borzini, Gian Paolo Calchi Novati, Pier Francesco De Iulio, Laura Di
Lucia Colletti, Roberto Germano, Giampiero Obiso, Orazio Parisotto, Alessandra
Pisa, Roberto Quaglia, Ivano Spano.
Fonte: http://www.alternativa-politica.it/manifesto-nuova-europa/
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