Una notizia sensazionale. Tutto il mondo si è interrogato fino ad oggi
su quel "cartiglio" di Leonardo da Vinci che ha ispirato film e
letteratura. Ma il famoso "codice" è rimasto sempre
avvolto in un
alone di mistero. Ma ora la svolta. Carla Glori, critica d'arte, filologa e
crittografa, che studia da oltre trent'anni l’opera di Leonardo, con
particolare attenzione all’enigma femminile della “Gioconda” e ai cartigli, ha
scelto Affari per rendere nota la sua tesi innovativa. La Gioconda in realtà
era Bianca Giovanna Sforza e il famoso codice significa...
Come definire
un’antica scritta le cui lettere alfabetiche, attraverso il loro spostamento,
formano duecento risposte di senso compiuto in risposta alle domande di un
soggetto interrogante, e tutte duecento contenenti la stessa parola “VINCI”
quale sigillo distintivo?
Non si tratta delle sentenze di un oracolo, come anticamente
si sarebbe pensato, né del trucco di un illusionista. Gli studi e le ricerche
sull’intelligenza artificiale confortano l’ipotesi che si tratti di una
“macchina alfabetica”, catapultata nel nostro presente da un passato lontano.
Ray Kurzweil – inquietante profeta del futuro che incombe – nel libro “The Age
of the Spiritual Machines” del 1999 tratta di macchine “coscienti”, che
simulano il funzionamento della mente umana. Prestazioni e messaggi,
sopravanzando le previsioni del programmatore, vengono creati dal computer
stesso, come se questo interagisse autonomamente con la persona che lo sta
usando e fosse dotato di coscienza propria. La sua profezia non è nuova, poichè
nel 1950 Alan Turing aveva già pubblicato su “Mind” il famoso articolo
“Computing Machinery and Intelligence”, con il test per vagliare se una
macchina avesse un’intelligenza comparabile a quella umana. D’altra parte la
letteratura fantascientifica aveva anticipato di almeno due secoli queste
futuristiche scoperte, seguita da versioni cinematografiche visionarie e
potenti. Tuttavia tutte le macchine immaginate o progettate hanno come loro
direzione e destinazione il futuro. Una macchina con caratteristiche simili a
quelle descritte, ma proveniente dal passato (vecchia oltre cinquecento anni)
non si è mai vista. Questa macchina esiste: coincide con l’iscrizione cifrata sul
cartiglio datato 1495 di un quadro conservato a Capodimonte . La complessa
decifrazione da me data del cartiglio del “Ritratto di Luca Pacioli con
allievo” (di proprietà dello Stato e conservato al Museo di Capodimonte di
Napoli) ha rivelato che - tramite inserimento della “parola-chiave” -
dall’iscrizione IACO.BAR.VIGEN/NIS P.1495 si può ricavare un numero attualmente
illimitato di frasi latine (fino ad oggi duecento) di senso compiuto, che
formano insiemi di storie, e che l’iscrizione è assimilabile ad una “macchina
alfabetica” in grado di interagire con un soggetto “decifrante”, generando
risposte di senso compiuto alle “domande” da lui poste, tramite spostamento
delle stesse lettere che la compongono.
Leonardo da Vinci |
E ciascuna delle frasi così decifrate contiene la parola –
ovvero la “firma”- VINCI. Come se non bastasse, le vicende dei due personaggi
ritratti (Luca Pacioli e Galeazzo Sanseverino) e di altri, descritti nelle
frasi decifrate e nelle storie che esse formano, trovano puntuale riscontro
nella documentazione storica e d’archivio relativa alle biografie dei membri
della famiglia Sforza chiamati per nome, alla location di Vigevano coi suoi
luoghi storici, e in generale al primo soggiorno milanese di Leonardo alla data
del 1495 . Pertanto nel 1495 l’autore del cartiglio di Capodimonte, già aveva
costruito (ovvero dipinto) con strumenti poveri (in uso al pittore del
Rinascimento) una macchina sconosciuta, dal comportamento plastico e
linguisticamente creativo, così evoluta da fornire risposte precise a domande
di un interlocutore, al punto da sembrare “cosciente” a chi interagisse con
essa. Tali risposte risultano conformi ai personaggi e alle vicende della
famiglia Sforza alla data del cartiglio. Tutte le informazioni generate dalla
decifrazione portano alla conclusione che il genio creatore della “macchina
alfabetica” in questione era Leonardo da Vinci, e questo non solo per via del
ricorrere in ciascuna delle frasi decifrate della “firma” VINCI, ma per la convergenza
storico-biografica di dati e riferimenti supportati da testimonianze degli
storici e ricerche d’archivio. Ciò che emerge dalle decifrazioni è una sorta di
diario segreto datato 1495, dopo la morte di Gian Galeazzo Sforza, nel quale il
Pittore annota fatti precisi ed istantanee che “fotografano” i due personaggi
ritratti nel quadro e i membri degli Sforza, fissandone in frasi telegrafiche
il destino. La decifrazione del cartiglio si accentra su materie
storico-artistiche e linguistiche , ma la sua complessità sconfina
nell’affascinante campo di ricerca che si espande ai confini delle attuali
teorie fisiche e cosmologiche e delle sperimentazioni sull’intelligenza
artificiale, oltrepassando – in un plot romanzesco non privo di un vago sapore
gotico - le creazioni della letteratura fantascientifica. L’interlocutore
umano, sconcertato e coinvolto nell’insolito gioco dell’”abaco vinciano”,
spostando le lettere e reperendo sempre nuove frasi, coincidenti con fatti
realmente accaduti e persone reali, si ritrova in bilico sul crinale ambiguo di
“reale” e “virtuale”, senza riuscire a stabilire un confine preciso tra le due
dimensioni. Tuttavia è innegabile che, nella sua simulazione, la “macchina
vinciana” rappresenta fedelmente aspetti della realtà storicamente documentati.
Le duecento frasi - tutte firmate VINCI - formate con le
medesime lettere del cartiglio, e per giunta corrispondenti a storie, fatti,
personaggi realmente esistenti alla data del 1495 e vicini a Leonardo,
depongono nel loro insieme per l’autenticità della scoperta in modo non
equivocabile. Una esemplificazione sotto forma di gioco può servire a
riassumere i tratti essenziali e i risultati della complessa decifrazione del
cartiglio. D’altra parte, che cosa è il cartiglio di Capodimonte se non un
gioco che nasconde una verificabile verità storica? L’idea di un puzzle
composto da cinque pezzi separati che si incastrano può risultare efficace. Che
cosa lega questi cinque elementi tra loro estranei? - Il cartiglio dalla
scritta misteriosa e datato 1495 dipinto nel quadro di Capodimonte , sul quale
è dipinta una mosca - Una “macchina alfabetica” parlante e creativa,
sconosciuta alla tecnologia contemporanea - Un pittore ed agente segreto alla
corte degli Sforza nel 1495, che gioca una partita mortale contro il potente di
turno (nella fattispecie l’allora duca Ludovico il Moro), per consegnare un
messaggio cifrato da lui dipinto - Leonardo da Vinci - Napoli Analizzando i
singoli “pezzi” del puzzle si individuano gli incastri e si perviene a
ricostruire il disegno . Il cartiglio – E’ il primo “pezzo”. E’ posto sul
tavolo tra gli strumenti del frate matematico Pacioli e riporta l’iscrizione
IACO.BAR.VIGEN/NIS. P. 1495 con la figura di una mosca. La mosca dipinta sul
cartiglio – che le decifrazioni identificano con il Moro - ha tradizionali
significati simbolici legati alla figura biblica di Belzebù e alla morte, ma è
anche la parola-chiave latina “MUSCA”, tramite la quale tra il 2010 e il 2013 è
stata da me effettuata la decifrazione dell’’iscrizione “IACO.BAR.VIGEN/NIS
P.1495”, scoprendo duecento frasi nascoste nel suo corpo. Quella scritta finora
ha tratto tutti in inganno, in quanto fraintesa come la firma di Jacopo de
Barbari, (creduto perciò l’autore del quadro), mentre salta agli occhi che si
tratta della sua macroscopica falsificazione, nella quale è stato sostituito il
caduceo - che siglava o accompagnava la firma del de Barbari - apponendo la
mosca (unica figura dipinta del cartiglio). Tuttavia il caduceo – oltre a
contraddistinguere l’allora famoso de Barbari - era l’impresa personale e
perciò identificativa del Moro. La mosca che sostituiva il caduceo, in base a
un elementare procedimento logico, era da porsi in rapporto alla persona del
Moro (successore nel 1495 del nipote duca da lui fatto avvelenare).
Il Pittore del cartiglio, sotto forma di “scherzo
imitativo”, aveva palesemente falsificato la firma del de Barbari per
“depistare” l’attenzione del committente e delle sue spie, e occultare così
nell’iscrizione i suoi messaggi, senza suscitare sospetti. La “falsa firma” –
pur nella sua stranezza - appariva agli occhi del committente e dei cortigiani
come uno dei tanti giochi all’epoca in uso presso le corti. Tale copertura era
necessaria, poiché si trattava di un messaggio cifrato, la cui decrittazione da
parte del Moro e delle sue spie avrebbe comportato rischio mortale per il suo
autore. La macchina alfabetica - Il secondo pezzo del puzzle è legato al primo,
poiché l’iscrizione del cartiglio si è rivelata un programma creato dal geniale
Pittore, al fine di generare informazioni. Infatti, inserendo la parola-chiave
latina “musca” e spostando le lettere alfabetiche dell’iscrizione, hanno preso
forma una dopo l’altra le duecento frasi latine tutte firmate VINCI, il cui
insieme forma una sorta di “romanzo storico”. Requisito essenziale per la
decifrazione si è rivelata la conoscenza della storia privata degli Sforza, che
in questo caso rimanda all’idea di codice. Senza la condivisione di questa
conoscenza, non sarebbe possibile la comprensione di simboli e riferimenti che
permettono la trasmissione dei messaggi e la loro comprensione né la verifica
della loro conformità ai fatti reali documentati. Le “domande”
dell’interlocutore e le risposte generate dalla macchina alfabetica ”
IACO.BAR.VIGEN/NIS. P. 1495+ la parola chiave “MUSCA”, vanno pertanto inscritte
nel contesto storico individuato: a questa condizione la macchina genera
risposte coerenti e in grado di formare “storie”. Tali storie risultano
verificabili biograficamente, storicamente e semanticamente. Il Pittore del
cartiglio aveva creato una macchina in grado di generare informazioni che, nel
loro insieme, costituivano un “dossier segreto”, e il “linguaggio artificiale”
di quel “testimone” da lui “programmato” si assimilava, per la sua plasticità e
flessibilità, al linguaggio naturale, e non era esente da suggestioni
letterarie. La genialità del creatore del programma si è dimostrata non solo in
grado di gabbare le spie e il potere dell’epoca, ma anche tale da eludere i
sofisticati procedimenti di decrittazione di un computer evoluto, poiché le
prestazioni “intelligenti” fornite dalla macchina alfabetica datata 1495 non
risultano a tutt’oggi indagate né è provato che siano riproducibili.
L’agente segreto - Il terzo elemento del puzzle coincide con
l’uomo che, cifrando la scritta, vi aveva celato il programma e le storie. Come
un agente segreto, il Pittore che si “firmava” VINCI aveva disseminato di
informazioni ogni frase e quelle informazioni risultavano corrispondenti alla
realtà, in quanto supportate da testimonianze storiche e atti d’archivio.
Evidentemente quell’uomo operava a contatto col potere, ne poteva vedere anche
gli aspetti più nascosti e conosceva bene l’ambiente cortigiano che gravitava
intorno al potere. Il “dossier” costituito dalle decifrazioni, oltre ad
informazioni precise sui personaggi del quadro e sulla storia degli Sforza,
cifrava l’oscura vicenda dell’avvelenamento del duca Gian Galeazzo, e la
testimonianza che ne emergeva coincideva con quella resa da storici illustri
(Malipiero, Guicciardini, Machiavelli, Valla, Muratori… ), confermando
l’opinione diffusa nelle corti e tra gli strati popolari. La denuncia
dell’avvelenamento occultata nel cartiglio, passata senza sospetti sotto gli
occhi scaltri del Moro e delle sue spie, costituiva rischio mortale per il
Pittore. Diversamente dal nostro tempo ( in cui il potere si è reso invisibile
e la violenza ha forme anche sottili e subliminali), il mondo delle corti alla
fine del XV secolo era piccolo e le forme e le pratiche del potere erano
visibili a distanza ravvicinata, così come le connesse manifestazioni della
violenza, anche cruente e sanguinarie. Se ne evince che l’autore del cartiglio,
che autenticava il suo codice con la firma VINCI, era un uomo audace, capace di
rischiare fino all’estremo, poiché aveva messo a repentaglio la propria vita
per testimoniare e consegnare ai posteri il suo “dossier”, contenente la
denuncia di un delitto eccellente commesso dal potente di turno. Leonardo - Il
quarto tassello è collegato al precedente, poiché quel Pittore e agente
segreto, tramite fondati elementi da me prodotti nella ricerca posta
pubblicamente online, è da identificarsi in Leonardo da Vinci e l’iscrizione
IACO.BAR.VIGEN/NIS P. 1495 da lui cifrata risulta essere portatrice di un
“codice vinciano”.
Tale conclusione non ha nulla di arbitrario, poiché una mole
schiacciante di indizi ed elementi probanti converge a dimostrare che un
inedito e come sempre sorprendente Leonardo è l”agente segreto” che ha cifrato
l’iscrizione del cartiglio di Capodimonte. Alle duecento decifrazioni
“marchiate” VINCI si aggiungono precise informazioni che chiamano in causa,
individuandoli con fatti documentati e chiamandoli per nome, Luca Pacioli,
Galeazzo Sanseverino ritratto accanto a lui, gli esponenti ducali della
famiglia Sforza nel biennio di transizione 1494/95 e la residenza sforzesca di
Vigevano, con i luoghi storici certamente frequentati dal Pittore nel 1494. Il
“diario segreto” che emerge dalle decifrazioni, ricostruisce la situazione
della corte milanese dopo la morte per avvelenamento di Gian Galeazzo Sforza,
l’”immacolato agnello” del Corio. Il Moro – identificato con la mosca del
cartiglio – risulta essere il mandante dell’avvelenamento tramite arsenico da
parte del mago Ambrogio da Rosate, con la complicità di Galeazzo Sanseverino.
La maggior parte delle scene descritte si focalizza sul funerale di Gian
Galeazzo Sforza e sui suoi famigliari in lutto, chiamati per nome e descritti
in modo da renderli ben riconoscibili. Dal tono complessivo, lo sguardo di
Leonardo si rivela compassionevole per la tragica fine di Gian Galeazzo e per
la sorte della vedova Isabella perseguitata. Il Moro viene identificato con la
repellente mosca del cartiglio. Compaiono i luoghi di Vigevano frequentati e
documentati da Leonardo nel 1494. Infine, in venticinque frasi decifrate, la
stupefacente rivelazione del Pittore, riportante l’avvenuta commissione del
ritratto di nozze di Bianca Sforza (che avrebbe sposato il Sanseverino – cioè
l’”allievo” di Capodimonte - nel giugno dell’anno successivo): la modella
Bianca è descritta in modo da renderla univocamente riconoscibile nella
Gioconda. Napoli - Il quinto e ultimo pezzo del puzzle è Napoli, città ove è
conservato il “Ritratto di Luca Pacioli con allievo”. Parrebbe trattarsi di un
incastro del puzzle del tutto slegato dagli altri ed estraneo al ritratto, così
come a Leonardo stesso.
Tuttavia un filo sotteso, storicamente documentato,
riconduce a Napoli, apparentemente lontana da quel quadro contenente il
cartiglio, ambientato in Vigevano nel 1495 e dipinto nel primo soggiorno
milanese di Leonardo. Il“filo d’Arianna” si dipana all’indietro nel tempo,
dalla Napoli dei giorni nostri fino a tornare virtualmente nella mano di
Isabella d’Aragona, vedova del giovane duca assassinato, la cui tragica vicenda
è al centro della decifrazione. Cinque anni dopo la data del cartiglio,
all’inizio del 1500 – alla caduta del Moro – Isabella tornava da Milano a
Napoli, città, dalla quale, a diciotto anni, era partita verso il porto di
Genova, per raggiungere il suo sposo e cugino Gian Galeazzo. Napoli coincide
con l’inizio e con l’epilogo dell’avventura milanese della infelice Isabella,
come se quel quadro, portatore del diario cifrato da Leonardo e datato 1495 -
l’anno che segnò il destino del marito e quello del ramo della sua discendenza-
misteriosamente l’avesse seguita. Ma di là dalla ricostruzione storica, è la
riflessione sul presente che fa emergere connessioni profonde tra quel ritratto
e la Napoli di oggi, città solare di antica storia e cultura, intrappolata tra
le rovine della città della scienza in fumo e la terra dei fuochi. Infine a
Napoli, terra di mezzo tra il continente a nord, luogo di massima
concentrazione della realtà e dei simboli della globalizzazione, e il sud del
mondo che dal mare preme ai varchi dello stivale, il caso o il destino ha
affidato il cartiglio vinciano, macchina generatrice di memoria storica e di
storie affascinanti di un mondo perduto. La possibilità che Leonardo abbia
effettuato un viaggio a Napoli è stata posta in dubbio dagli studiosi,
generalmente propensi ad escluderlo. Il cartiglio del “doppio ritratto” di
Capodimonte testimonia che comunque Leonardo è arrivato a Napoli e ci è
rimasto.
Una frase che sembra una formula magica - IACO:BAR:VIGEN/NIS
P.1495 - scritta su un cartiglio del 1495, dipinto in un quadro famoso e di
incerta attribuzione, si è rivelata portatrice di un codice e di una trama
storico-biografica che riconduce a Leonardo da Vinci. La scoperta è della
studiosa leonardiana Carla Glori, che ha decrittato il cartiglio del “Ritratto
di Luca Pacioli con allievo” conservato nel Museo di Capodimonte. Fino ad oggi,
nonostante la vistosa differenza della scrittura, la frase del cartiglio era
stata interpretata come la firma di Iacopo de Barbari; la decifrazione della
studiosa, posta online, dimostra che - diversamente da quanto finora creduto -
quella scritta è un programma che genera informazioni storicamente documentate.
Decifrando il codice con la semplice aggiunta della parola “musca” (unica figura
del cartiglio, accanto a IACO.BAR.VIGEN/NIS P.1495 ), la studiosa è stata in
grado di estrarre le informazioni generate dalla scritta cifrata, verificandole
con la documentazione storica. Le lettere alfabetiche della scritta si
decompongono e ricompongono in un gioco matematico e linguistico, in cui le
parole si trasformano, formando duecento frasi di senso compiuto che risultano
esatte alla verifica.
Le frasi ottenute, raggruppate dall’autrice in insiemi
omogenei per argomento, compongono la trama di un diario segreto, portato in
luce dopo oltre cinquecento anni. Tutte le duecento frasi contengono la parola
– la “firma” - VINCI e si riferiscono all’opera di Leonardo, alle azioni svolte
dal Pacioli nel dipinto e ai suoi scritti matematici. Inoltre le frasi relative
al giovane accanto al frate – identificato in Galeazzo Sanseverino –
localizzano il quadro in Vigevano, residenza ufficiale sforzesca. La storia
degli Sforza costituisce il filo conduttore della decifrazione, e la vicenda
della morte del duca Gian Galeazzo nell’ottobre 1494 coincide con quanto
riportato dagli storici, e cioè che si trattò di avvelenamento con arsenico
ordinato dal Moro al “mago” Ambrogio da Rosate. Sono citati i nomi dei membri
della famiglia alla data del cartiglio e inoltre vi compaiono frasi sulla
commissione per il ritratto nuziale di Bianca Sforza (sposa del Sanseverino
l’anno seguente), e descrizioni che, nell’ intendimento del Pittore,
prefigurano quel ritratto del tutto simile alla Gioconda Secondo la
ricercatrice, Leonardo - illusionista scenico e creatore di macchine e robot
alla corte del Moro – sarebbe quindi l’artefice della scritta del cartiglio,
ove avrebbe occultato un potente programma su base alfabetica per generare
frasi firmate VINCI e in grado di connettersi tra loro, formando storie
coincidenti con le vicende sforzesche dopo l’uccisione di Gian Galeazzo.
Si delinea l’identikit di un Leonardo temerario e capace di
sfidare il potente di turno, una specie di “agente segreto” che, facendo
passare il cartiglio cifrato sotto gli occhi del suo committente il Moro -
simbolicamente identificato dalle decifrazioni con la oscura “mosca” - e delle
sue spie di corte, corre un rischio mortale al fine di consegnare in futuro, a
chi arriverà a decifrarla, la sua testimonianza sull’avvelenamento del
venticinquenne duca da parte dello zio. Il “cartiglio vinciano” ha viaggiato
nel tempo e nello spazio, fino alla città che fu di Isabella d’Aragona. Se la
scoperta verrà confermata, Napoli sarebbe quindi depositaria di un tesoro, poiché
la decifrazione non solo apporta novità sorprendenti sull’opera e la
personalità di Leonardo, ma ha pure importanti risvolti di pubblico interesse,
dato il “valore ” che il quadro, di proprietà dello Stato, è destinato ad
acquisire e date le conseguenti ricadute positive sul territorio Napoletano. I
quadri attribuiti a Leonardo si contano sulle dita di una mano, e il cartiglio
di Capodimonte ha caratteristiche tali da risultare unico al mondo. Nel
sottolineare che si tratta del primo “codice vinciano” scientificamente e
matematicamente verificabile, e che l’obiettivo e i risultati della ricerca
sono circoscritti al cartiglio, l’autrice considera le duecento frasi decifrate
e firmate VINCI, quale contributo da assumersi nel lavoro di competenza dello
storico dell’arte a contatto diretto col quadro.
Fonte: http://www.carlaglori.com/cartiglio/
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