Marcatori tumorali.... e creazione di malati
Nell’ultimo libro “La fabbrica dei malati” mi
sono occupato della più importante strategia di marketing (“Disease
mongering”) messa in atto dall’industria del farmaco. Una strategia
diabolica in grado di trasformare milioni di persone sane in malati.
Com’è possibile tutto ciò? Attraverso un sistema geniale che va dall’abbassamento dei cosiddetti valori di “normalità”, alla diagnosi precoce per giungere creazione vera e propria di nuove malattie. Per non parlare del grossissimo problema della sovradiagnosi e degli incidentalomi.
I markers tumorali, se usati non correttamente, rientrano in tutto ciò...
Cosa sono i markers
La presenza di un tumore può essere rivelata attraverso il dosaggio di particolari sostanze dette appunto marcatori presenti nel sangue. Per lo più si tratta di proteine, ma possono essere anche ormoni o enzimi.
Com’è possibile tutto ciò? Attraverso un sistema geniale che va dall’abbassamento dei cosiddetti valori di “normalità”, alla diagnosi precoce per giungere creazione vera e propria di nuove malattie. Per non parlare del grossissimo problema della sovradiagnosi e degli incidentalomi.
I markers tumorali, se usati non correttamente, rientrano in tutto ciò...
Cosa sono i markers
La presenza di un tumore può essere rivelata attraverso il dosaggio di particolari sostanze dette appunto marcatori presenti nel sangue. Per lo più si tratta di proteine, ma possono essere anche ormoni o enzimi.
Il dogma della medicina vuole che queste proteine vengano prodotte in quantità superiore alla norma dalle cellule tumorali per cui il loro dosaggio nel sangue serve proprio per cercare e individuare il tumore osservandone le evoluzioni.
Non tutti sanno però che tali markers vengono prodotti anche da cellule in condizioni totalmente diverse dai tumori e perfino in salute…
Vediamo quali sono i marcatori più utilizzati.
PSA, Antigene
Prostatico Specifico: per il tumore alla prostata, livelli normali < 4 ng/dL.
Aumenta in caso di
neoplasia prostatica, ma anche nella ipertrofia prostatica benigna, prostatite,
esplorazione rettale, cistoscopia, agobiopsia prostatica e resezione prostatica
trans-uretrale.
CA 125: per il tumore all’ovaio,
livelli normali < 35 U/ml.
Aumenta in caso di
cancro ovarico, polmonare, linfomi non-Hodgkin (40% dei casi) e affezioni
benigne quali endometriosi, cisti ovariche, mastopatia fibrocistica, cirrosi
epatica, pancreatite acuta e addirittura in gravidanza. Valori falsamente
positivi si possono trovare anche in presenza di versamento pleurico.
CA 15-3: per il tumore alla mammella,
livelli normali < 25 U/ml.
Aumenta in caso di
carcinoma mammario, cancro ovarico, colorettale, polmonare, patologie benigne
del seno, malattie epatobiliari e malattie autoimmunitarie. Valori falsamente
positivi possono essere causati da patologie reumatiche.
CA 19-9: per i tumori del colon-retto
oppure del pancreas, livelli normali < 37 U/ml.
Aumenta in caso di
cancro pancreatico, gastrico, colorettale, melanoma e patologie benigne
(malattie epatobiliari e polmonari). Circa l’1% dei soggetti normali ha un CA
19-9 costituzionalmente elevato, per motivi genetici.
CEA, Antigene Carcino
Embrionale: per i tumori del
tratto gastro-intestinale e polmonari,
livelli normali < 5 ng/ml.
Aumenta in caso di
cancro colorettale, mammella, polmone, stomaco, pancreas, fegato, malattie
infiammatorie intestinali, epatobiliari e lesioni polmonari benigne. Anche il
fumo di sigaretta può farlo aumentare!
TPA (Antigene
Polipeptidico Tessutale), TPS e Cyfra 21.1: sono citocheratine utilizzate come marcatori tumorali, la
loro concentrazione è proporzionale alla massa del tumore e alla sua
aggressività.
PAP, Fosfatasi acida
prostatica: per i tumori alla prostata, livelli normali < 3,7
μg/l.
E’ una glicoproteina
secreta dalle ghiandole prostatiche, presente nel liquido seminale. Aumenta in
caso di carcinoma prostatico in fase metastatica (85% dei casi) ma anche negli
adenomi benigni della prostata, prostatite, ritenzione urinaria e raramente
carcinoma vescicale invasivo con infiltrazione prostatica. Anche la manipolazione
della prostata attraverso massaggi, biopsie o esami rettali può incrementarne i
livelli.
AFP,
Alfa-FetoProteina: per i tumori al fegato, del testicolo e dell’ovaio,
livelli normali < 25 mcg/L.
Aumenta in caso di
carcinoma epatocellulare (80% dei casi), cancro testicolare di tipo
non-seminoma (60% dei casi), tumori ovarici, dello stomaco e del colon.
I suoi valori sono
elevati anche in gravidanza, sofferenza fetale, difetti di chiusura del tubo
neurale, cirrosi epatica, epatite virale e morbo di Crohn.
HCG, Gonadotropina
Corionica: è un ormone
correlato all’inizio della gravidanza e viene dosato per i tumori germinali del
testicolo e dell’ovaio.
TG, Tireoglobulina: marcatore per il tumore alla tiroide,
livelli normali < 10 ng/ml.
Aumenta in caso di cancro
tiroideo e patologie benigne della tiroide (tiroidite, gozzo, morbo di
Basedow).
CT, Calcitonina: per il tumore midollare alla tiroide,
livelli normali < 0.1 ng/ml.
E’ un ormone
polipeptidico prodotto dalle cellule C della tiroide. Aumenta in caso di
carcinoma midollare della tiroide e raramente anche con altri tipi di tumore.
NSE: per il microcitoma polmonare
e neuroblastoma, livelli normali
< 12 mcg/l.
Aumenta in caso di
neoplasie di origine neuroendocrina, microcitoma polmonare e neuroblastoma.
A caccia del marker
specifico
La ricerca medica da sempre è a caccia del marcatore tumorale specifico al 100%.
La ricerca medica da sempre è a caccia del marcatore tumorale specifico al 100%.
Il valore che garantisca la diagnosi tumorale certa
rappresenta il sogno per molti ricercatori e medici. Sogno però diventato un
incubo perché i marker non sono né sensibili, né specifici!
Nessuno dei marcatori tumorali che
oggi la medicina conosce e utilizza è una prerogativa specifica del tumore in
quanto sono tutte sostanze presenti anche in altre condizioni, perfino
nell’assoluta normalità.
Quindi il marcatore tumorale qualitativo, cioè presente
solo nel tumore NON esiste!
Storia dei markers
tumorali
La storia dei marcatori inizia nel 1965 quando due ricercatori americani scoprirono nelle cellule di alcuni tumori del colon una sostanza CEA che si dimostrava correlata con la malattia.
La storia dei marcatori inizia nel 1965 quando due ricercatori americani scoprirono nelle cellule di alcuni tumori del colon una sostanza CEA che si dimostrava correlata con la malattia.
Questo antigene era
presente nel tessuto tumorale e anche nel sangue dei malati con il tumore al
colon. Sembrava la scoperta del secolo: una proteina poteva indicare la
presenza o meno di un tumore. Successivamente si scoprì che questo antigene
veniva prodotto in piccole quantità anche da tessuti sani e si riscontrava in
presenza di altre e completamente diverse neoplasie (mammella, polmone,
apparato urinario, pancreas e stomaco).
Crollato il mito della
specificità del CEA, la batosta più grossa arrivò quando i ricercatori
scoprirono che l’antigene è prodotto in alte dosi anche in malattie non
tumorali come le infiammazioni acute e croniche del fegato.
Sensibilità e
specificità dei markers
Per valutare correttamente l’adeguatezza di un marcatore tumorale è necessario conoscerne la sensibilità e specificità.
Per valutare correttamente l’adeguatezza di un marcatore tumorale è necessario conoscerne la sensibilità e specificità.
Per
sensibilità s’intende la
capacità di rilevare la presenza di tumore. Per esempio se un marker ha una sensibilità del 70% significa che è
capace di rilevare la presenza del tumore nel 70% dei pazienti affetti, ma
questo significa che 30 pazienti su 100 avranno valori normali del marker in
presenza di un tumore (“falsi negativi”).
La specificità è invece la capacità del marker di essere elevato solo in caso di neoplasia e assente in altre malattie. Se un marker ha una specificità del 70% sarà positivo nel 70% dei casi per una specifica neoplasia, ma questo significa che 30 pazienti su 100 avranno livelli elevati del marker in presenza di un diverso tipo di tumore o di una patologia benigna (“falsi positivi”).
La conseguenza è che i markers tumorali non hanno mai una sensibilità e una
specificità del 100%.
Questi sono alcuni dei motivi per cui i markers tumorali non vanno usati per la diagnostica oncologica ma per verificare l’andamento della terapia nel follow-up: l’abbassarsi o l’elevarsi dei livelli riflette l’andamento clinico della neoplasia.
Andamento clinico della neoplasia
La medicina allopatica ha una visione estremamente riduttiva della Vita e della malattia perché considera quasi esclusivamente “la progressione del tumore”.
Non importa minimamente tutta la
storia della persona, la complessità del suo mondo psichico, energetico,
relazionale, ambientale (compresa naturalmente l’alimentazione) e anche la sua
realtà spirituale.
Quello che conta è un numero che
sale e scende.
Questa visione limitante e deviante si chiama “riduzionismo scientifico”.
L’essere umano con tutta la sua complessità è
stato ridotto ad un ammasso di cellule, ormoni: a un numero, il marcatore…
Falsi positivi e negativi
Ogni esame diagnostico in quanto tale ha sempre una percentuale di falsi positivi e falsi negativi.
Ogni esame diagnostico in quanto tale ha sempre una percentuale di falsi positivi e falsi negativi.
La definizione della soglia di normalità del marcatore tumorale non esclude la possibilità di commettere gravissimi errori di classificazione e diagnosi.
Valore negativo di un marcatore tumorale (per la medicina assenza di malattia) non esclude infatti la presenza di un tumore, ma può essere dovuto per esempio a un tumore piccolo o a un tumore molto grosso poco vascolarizzato o alla prevalenza nel tumore di cellule che non rilasciano il marcatore. Questi sono i falsi negativi: il tumore c’è ma l’esame non lo vede.
Valori positivi di un marcatore tumorale (per la medicina presenza di malattia) può essere dovuto a cause diverse dai tumori come: patologie benigne acute o croniche di tipo infiammatorio, stili di vita errati come fumo o alcool, sport estremi, manovre diagnostiche, interventi chirurgici, ecc.
Questi sono i falsi positivi: il marcatore è alto ma il problema non è un tumore e spesso non c’è nessuna patologia!
I falsi positivi e negativi vanno tenuti in seria considerazione quando si eseguono esami diagnostici.
Esempio di marker contradditorio
Due semplici esempi potranno spiegare come un marcatore oncologico se interpretato in maniera non corretta può trasformarsi in uno strumento molto pericoloso.
Due semplici esempi potranno spiegare come un marcatore oncologico se interpretato in maniera non corretta può trasformarsi in uno strumento molto pericoloso.
Nel sito www.cancerquest.org della Emory University è stato pubblicato un intero capitolo sul marcatore CA 125.
Come detto si tratta di una glicoproteina prodotta dall’utero, dalla cervice uterina, dalle tube di Falloppio e dalle cellule che rivestono gli organi delle vie respiratorie e dell’addome.
Quando uno di questi tessuti è danneggiato o semplicemente infiammato si possono trovare quantità di questa proteina nel sangue.
A livello internazionale quando i livelli del marker superano 35 U/mL si è in presenza di tumore.
Il problema sta proprio nell’interpretare
correttamente il CA 125 perché un alto valore NON è sempre correlato al cancro.
Livelli alti si possono avere in gravidanza, durante il ciclo mestruale, con
una patologia epatica oppure una endometriosi.
Non a caso la maggior parte delle donne che presentano valori alti di CA 125 non sono assolutamente affette da patologie tumorali.
Infine va tenuto conto che meno della metà dei casi di cancro ovarico in stadio precoce inducono un diretto aumento del livello di CA 125 nel sangue. Questo significa che nel 50% delle donne con cancro ovarico il livello del marcatore non cresce e quindi non è riscontrabile (falso negativo).
L’utilità di un’analisi che confonde molto
facilmente un tumore allo stato precoce con altri eventi naturali è assai
discutibile e pericolosa.
La conclusione dei ricercatori della Emory University è che “attualmente il test del CA 125 non è un’analisi raccomandata per uno screening a larga scala per il cancro delle ovaie”.
Marker & paura…
La paura è un meccanismo perfetto previsto dalla natura. Ogni animale selvatico e un po’ anche quelli addomesticati ne è provvisto. Questa emozione gioca un ruolo fondamentale: tenere l’essere umano sul “chi va là” per sopravvivere ai pericoli che lo circondano.
La paura è un meccanismo perfetto previsto dalla natura. Ogni animale selvatico e un po’ anche quelli addomesticati ne è provvisto. Questa emozione gioca un ruolo fondamentale: tenere l’essere umano sul “chi va là” per sopravvivere ai pericoli che lo circondano.
In natura tutto è straordinariamente semplice: se si sta attenti si sopravvive, altrimenti si muore (1).
Poiché la paura ci avverte di un pericolo, se il pericolo non c’è, la paura non si manifesta.
Queste conoscenze sono molto note al Potere che ci manipola, il quale proprio per mantenere il controllo sulla popolazione ha sviluppato numerose tecniche mediatiche per tenere sempre viva e accesa la fiamma che nutre la paura (terrorismo, attentati, guerre, pestilenze, malattie, surriscaldamento globale, scioglimento dei ghiacciai, ecc.). Basta accendere la tivù per capacitarsene.
Vi è anche un aspetto più sottile relativo
alla paura che è tipico dell’essere umano.
La paura per esistere ha bisogno della controparte, cioè il pericolo.
Se
abbiamo paura di qualcosa è possibile creare noi stessi il pericolo (la
controparte) così da giustificare il timore.
Lo scopo del presente è di spiegare che i marker aumentano anche in totale assenza di tumore. Mentre a livello generale il mantra ufficiale che ci hanno inculcato per bene fin dentro l’inconscio è esattamente il contrario: i marker aumentano in presenza di tumore.
Se è vero che la paura per esistere ha bisogno della controparte pericolo, è logico dedurre che se si ha paura di vedere i marker aumentare, ciò potrebbe accadere realmente...
Tutte le filosofie del mondo sanno che il pensiero crea e interagisce con la materia stessa. La fisica quantistica, che oggi sta avendo sempre più riconoscimenti dalla comunità scientifica, lo dice dall’inizio del secolo scorso:
l’osservatore
è in grado di influenzare il comportamento della particella osservata!
Conclusione
La conclusione è semplice e scontata: il dosaggio dei marcatori non deve essere fatto in ambito diagnostico. Anche se questa cosa puntualmente viene eseguita.
La conclusione è semplice e scontata: il dosaggio dei marcatori non deve essere fatto in ambito diagnostico. Anche se questa cosa puntualmente viene eseguita.
La totale mancanza di informazioni precise e
consolidate circa il significato dell’incremento di un marcatore fa sì che in
realtà essi vengano frequentemente utilizzati per decisioni cliniche in maniera
soggettiva e spesse volte molto arbitraria.
I marcatori possono essere utili semmai per verificare l’efficacia delle terapie intraprese e seguire l’andamento della malattia e NON per diagnosticare una patologia!
D’altra parte vi è l’assoluto interesse economico e
lobbistico da parte dell’industria chimico-farmaceutica affinché i marcatori
vengano invece sempre più utilizzati nell’ambito degli screening, cioè per fare
diagnosi, perché così facendo si creano sempre più malati.
La medicina non tenendo conto della complessa realtà della persona va riducendo tutto, vita compresa a un valore numerico (marcatore).
Tratto dal libro di Marcello Pamio:
“La fabbrica dei malati”, rEvoluzione edizioni
VIA: COMPRESSA-MENTE
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