sabato 11 ottobre 2014

Quando l'Islanda ha detto no

Vi ricordate cosa è successo in Islanda nel 2008? 


Storia di un paese che è uscito dalla crisi rifiutando il gioco del debito.





Prendete un paese piccolo e isolato, applicatevi una dose massiccia di neoliberismo, convertite i suoi abitanti in dei consumatori spensierati, privatizzate in blocco le banche evitando di regolamentare in alcun modo il settore finanziario. Ecco, avrete ottenuto il paese perfetto, almeno secondo i canoni del modello di sviluppo contemporaneo. E così era l'Islanda fino al 2008, il "paese più felice del mondo", fiore all'occhiello dei teorici neoliberisti, portata in palmo di mano da economisti e analisti internazionali.

L'opportunità della crisi

Ora soffiate forte su questo castello di carte, spazzatelo via mostrando le sua fondamenta inesistenti. Rompete la bolla, lasciate che tutto crolli, che le persone si ritrovino improvvisamente povere e ricoperte di debiti, senza la più pallida idea di cosa sia successo. Rimarrete sorpresi da quello che vedrete accadere. Vedrete la rabbia riversarsi nelle strade, ma poi, pian piano, strutturarsi in un movimento. Vedrete questo movimento lottare contro un governo corrotto e l'élite finanziaria, contro il pagamento di un debito ingiusto contratto da banche private. E vincere. Vedrete la scrittura di una nuova costituzione in crowdsourcing, le leggi per la libertà d'informazione su internet e molto altro. Anche questo è successo in Islanda, a partire dalla fine del 2008, ovvero dalla keppra, temine islandese che indica la crisi.
Prima laboratorio neoliberista, in seguito incubatrice di tendenze e modelli opposti. L'Islanda mi e apparsa fin da subito come una sorta di microcosmo che racchiudeva in sé, compresse nel tempo e nello spazio, alcune dinamiche che si ritrovavano più diluite su scala globale. In Islanda è accaduto tutto più in fretta. Tuttavia, oggi, il benessere recuperato molto in fretta è forse il peggior nemico delle spinte di cambiamento emerse negli ultimi anni. Se da un lato sembra essersi affermata l'idea che capitalismo finanziario è qualcosa d estremamente rischioso, dall'altro le politiche neoliberiste, pur in forma più soft, sono di nuovo portate avanti dal governo di centro-destra eletto l'anno passato. Oggi l'isola è in bilico fra tendenze e modelli opposti.

Islanda Chiama Italia

Cosa può insegnarci tutta questo? 
Viste da lontano, l'Islanda e l'Italia hanno ben poco in comune. La prima è un'isoletta di appena 300mila anime sperduta nell'oceano e popolata da gente silenziosa ma cordiale, con un'economia relativamente marginale rispetto ai circuiti globali. 
La nostra Italia invece è un paesone grande e chiassoso coi suoi 60 milioni di abitanti, piazzata proprio nel mezzo del Mediterraneo, al centro di interessi economici e geopolitici internazionali. Ma al di là delle differenze, esistono messaggi di portata generale che si possono trarre da questa storia del tutto particolare: è possibile mettere in discussione alcuni dogmi della società contemporanea, in primis quel paradosso del mercato che vuole che i debiti privati - se i privati sono di una certa dimensione - diventino pubblici quando il privato fallisce; è possibile costruire delle alternative dal basso, a questo modello di sviluppo. 
È possibile, ma il tempo stringe. 
La vicenda islandese ci insegna anche che quella finestra di potenziale cambiamento che stiamo vivendo, che si apre quando finisce un ciclo dell'economia capitalista, e destinata a chiudersi quando un nuovo ciclo prende il via: dunque le alternative costruite all'interno di questa finestra devono sedimentare e andare a sistema prima della "ripresa", se il cambiamento intravisto ambisce ad affermarsi come nuovo modello.

Per avere un quadro completo della situazione consiglio vivamente di leggere il libro "Islanda Chiama Italia" - Storia di un Paese che è uscito dalla Crisi rifiutando il Debito - di Andrea Degl'Innocenti.

Islanda Chiama Italia - Libro Voto medio su 1 recensioni: Da non perdere
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2 commenti:

  1. Ma perché la maggior parte degli italiani abboccano agli 80 euro, si fanno togliere i diritti (vedi art 18), si fanno imporre ciò che neanche condividono da gente che neanche é stata eletta dagli italiani stessi, e non vanno a vedere come vanno le cose in stati come l'Islanda, la Norvegia e la Svizzera, che non essendo nella Comunitá Europea se la passano benissimo e addirittura sono ai primi posti, forse meritiamo quello che abbiamo! Il problema é che questo stato delle cose lo deve subire anche la minoranza del paese, che qualcosa ha capito!

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  2. Le persone di sinistra sono quelle che pensano nel modo in cui i loro rappresentanti gli dicono di pensare, adesso sono d'accordo anche sul l'abolizione dell'art 18, quando lo diceva qualcun'altro sono scesi in piazza e hanno fatto una guerra.
    Ma si rendono conto del male che stanno facendo all'Italia?
    Non abbiamo una sovranitá nazionale, ma se ne sono accorti in pochi, inoltre chi sta sfasciando ció che é stato ottenuto con anni di dura lotta non é stato eletto da nessuno di noi Italiani, addirittura comanda come un dittatore con delle persone elette all'opposizione e che molto probabilmente alle prossime elezioni spariranno dal palcoscenico della politica.
    Informatevi, ma non solo dalle televisioni e dalla stampa, l'altra campana la potrete trovare con un pó di attenzione solo sul web.

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