By
Edoardo
Capuano
- Posted on 21
luglio 2012
È
il marketing del disease mongering: non serve vendere più medicine
ai soliti malati, ma basta sensibilizzare la gente a nuovi consumi
nel nome di una presunta attenzione alla salute. La vicenda rivelata
da un'inchiesta di "E", il mensile di Emergency
Il
settore del farmaco scoppia di salute, e il mensile E,
edito da Emergency,
mette in fila i numeri per scoprire quanto vale “Il business dei
sani”, come titola la copertina del numero in edicola. Un business
da primato, che nemmeno la crisi planetaria ha scalfito. “Il giro
d’affari delle aziende farmaceutiche nel mondo ha superato nel 2010
i 610 miliardi di euro, fatturato a cui quelle italiane
contribuiscono con una quota di circa 25 miliardi – spiega
l’inchiesta di
Roberta Villa
-. La spesa media pro capite di ogni italiano per le medicine è di
oltre 300 euro l’anno, ma non è tutto qui, perché il settore dei
farmaci concorre per meno del 15 per cento all’intero comparto
economico che ruota attorno alla salute. E questo mercato del
benessere, dai confini sempre più sfumati, rappresenta ormai il 10
per cento dei consumi in Europa
e
il 15 per cento negli Stati
Uniti“.
Peccato
per le conseguenze collaterali, che hanno nomi difficilotti ma
spiegazioni assai semplici. Il “disease
mongering”
non è un morbo contagioso, ma la prassi di marketing che negli
ultimi anni ha consentito al comparto di far volare utili e nuovi
brand: come spiega Gianfranco
Domenighetti,
docente di Comunicazione ed economia sanitaria presso l’Università
della Svizzera italiana, l’importante non è riuscire a vendere più
medicine ai soliti malati, ma sensibilizzare la gente a nuovi consumi
nel nome di una presunta attenzione alla salute.
Come?
Semplice, basta “gonfiare l’importanza di una malattia o, se
occorre, inventarsela di sana pianta” dice Domenighetti
invitando l’utente medio a meditare sull’utilità di screening
massivi e campagne di prevenzione sempre più frequenti. Perché, a
dire il vero, le malattie restano più o meno le stesse e “solo il
2, 4 per cento dei farmaci immessi sul mercato dal 1981 al 2008
rappresenta un vero importante progresso terapeutico, mentre l’80
per cento non sono che copie dell’esistente, a eccezione del
prezzo, che di regola è triplicato” chiosa l’economista
svizzero.
Ma
davvero l’industria riesce a condizionare la domanda di farmaci
fino al punto di danneggiare il reale interesse del
consumatore/paziente? Risponde Silvio
Garattini,
direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario
Negri
di Milano: “Questa idea di curare i sani è solo l’ultimo atto di
una strategia che inizialmente è partita allargando artificialmente
la platea dei malati. Non è un caso che i valori-soglia considerati
un tempo normali per la glicemia, il colesterolo o la pressione
arteriosa siano stati progressivamente abbassati: per ognuno di
questi aggiustamenti, è cresciuto a dismisura il numero di persone
cui prescrivere medicinali”. E se la prossima volta che leggerete
sul giornale un mega inserto sulla salute dove si parla di doloretti
alla schiena, tenete a mente questa battuta rapida ma efficace: “La
fibromialgia,
per esempio, è una ‘nuova’ malattia che sembra fatta apposta
allo scopo di vendere analgesici”. Parola di Garattini.
Oltretutto,
c’è da ragionare sulla relatività del concetto salute e sulla
forza dei modelli culturali capaci di espandersi a suon di
investimenti miliardari. Gli Stati
Uniti,
si sa, sono la patria dell’extra large e anche in ambito
farmaceutico stanno facendo scuola alla vecchia Europa.
Negli Usa una persona su quattro prende ogni giorno la pillola per
tenere a bada la pressione e i medicinali contro gli stati ansiosi
sono ormai alla portata dei bambini di quattro anni. Donne isteriche?
Uomini disoccupati? Adolescenti inquieti? Tutti in fila per la
terapia, magari venduta via internet
con sconti favolosi, giusto per invogliare il cliente. In Italia,
storicamente, la classe medica ha posto un freno all’invadenza del
business,
ma i tempi magri e l’inesorabile tendenza al supporto fast –
meglio buttar giù un antidolorifico al volo piuttosto che impegnare
tempo e denaro in cure tradizionali cui la sanità pubblica non può
più far fronte – fanno pensare a un futuro ancor più florido per
i commercianti del benessere. “Per questo abbiamo deciso di
occuparcene – spiega Maso
Notarianni,
vicedirettore di E
-.
Noi siamo la testata di Emergency,
e tutti si aspettano notizie sulle attività nei vari luoghi del
mondo dove opera l’organizzazione. In realtà il mondo è un affare
complicato, dove tutto si correla. I soldi, la ricchezza, la
democrazia, i diritti umani. Anche in Italia,
nella sanità privata o in quella pubblica, c’è chi pensa solo al
profitto. Secondo noi la salute è un’altra cosa, il rispetto per
l’essere umano è la priorità: in un ospedale sperduto tra la
guerra o nella clinica degli orrori a Milano cambia poco”.
Credo che i casi più presenti siano quelli dei psicofarmaci, ma non solo.
RispondiEliminaOggi se si va da un qualsiasi medico di famiglia... lamentandosi a dei dolori, o magari a qualcosa che dà fastidio... non si mettono di neanchè ad indagare, prescrivendo subito dei farmaci.
Mha... dico, ci sarà una logica in tutto questo, a punto il buisness XD
Vogliamo parlare anche del vaccino per il papilloma virus (HPV), caldamente consigliato alle mamme per le loro figlie dodicenni?!
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